14^ Domenica del tempo ordinario
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. (Lc 10,1)
Tutti siamo missionari di Gesù. Ma tu puoi dire: “Io non so come si fa, non sono capace!”.
Il Vangelo ci stupisce ancora, mostrandoci il Signore che invia i discepoli senza aspettare che siano pronti e ben allenati: non erano con Lui da molto tempo, eppure li manda. Non avevano fatto studi di teologia, eppure li manda. E anche il modo in cui li invia è pieno di sorprese. Cogliamo dunque tre sorprese, tre cose che ci stupiscono, tre sorprese missionarie che Gesù riserva ai discepoli e riserva a ciascuno di noi se noi lo ascoltiamo.
Prima sorpresa: l’equipaggiamento. Per affrontare una missione in luoghi sconosciuti occorre prendere con sé diverse cose, certamente quelle essenziali. Gesù, invece, non dice che cosa prendere, ma che cosa non prendere: «Non portate borsa, né sacca, né sandali». Praticamente nulla: nessun bagaglio, nessuna sicurezza, nessun aiuto. Spesso pensiamo che le nostre iniziative ecclesiali non funzionino a dovere perché ci mancano strutture, ci mancano soldi, ci mancano mezzi: questo non è vero. La smentita viene da Gesù stesso. Fratelli, sorelle, non confidiamo nelle ricchezze e non temiamo le nostre povertà, materiali e umane. Più siamo liberi e semplici, piccoli e umili, più lo Spirito Santo guida la missione e ci fa protagonisti delle sue meraviglie. Lasciare spazio allo Spirito Santo!
Per Cristo l’equipaggiamento fondamentale è un altro: il fratello. Curioso questo. «Li inviò a due a due», dice il Vangelo. Non da soli, non per conto proprio, sempre con il fratello accanto. Mai senza il fratello, perché non c’è missione senza comunione. Non c’è annuncio che funzioni senza prendersi cura degli altri.
Veniamo alla seconda sorpresa della missione: il messaggio. È logico pensare che, per prepararsi all’annuncio, i discepoli debbano imparare che cosa dire, studiare a fondo i contenuti, preparare discorsi convincenti e ben articolati. Questo è vero. Anche io lo faccio. Invece Gesù consegna loro solo due frasette. La prima sembra persino superflua, trattandosi di un saluto: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”».
Il Signore prescrive cioè di presentarsi, in qualsiasi posto, come ambasciatori di pace. Un cristiano porta sempre la pace.
Dopo il saluto di pace, tutto il resto del messaggio affidato ai discepoli si riduce alle poche parole che Gesù ripete due volte: «Il regno di Dio è vicino». Annunciare la vicinanza di Dio, che è il Suo stile; lo stile di Dio è chiaro: vicinanza, compassione e tenerezza. La speranza e la conversione vengono da qui: dal credere che Dio è vicino e veglia su di noi: è il Padre di tutti noi, che ci vuole tutti fratelli e sorelle. Se noi viviamo sotto questo sguardo, il mondo non sarà più un campo di battaglia, ma un giardino di pace; la storia non sarà una corsa per arrivare primi, ma un pellegrinaggio comune. Tutto ciò – ricordiamolo bene – non richiede grandi discorsi, ma poche parole e tanta testimonianza. Allora possiamo chiederci: chi mi incontra, vede in me un testimone della pace e della vicinanza di Dio oppure una persona agitata, arrabbiata, insofferente, bellicosa? Io faccio vedere Gesù o io lo nascondo in questi atteggiamenti bellicosi?
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