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14-09-2007
Invitati alla festa del perdono

Dal vangelo secondo Luca (15,1-32)
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro».

Allora egli disse loro questa parabola[1]: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

O quale donna[2], se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Parabole, perché?
Spesso Gesù, quando deve confrontarsi con degli avversari, quando deve rispondere a pregiudizi e accuse, ricorre alla parabola. Non parte subito in quarta, non da subito delle risposte, anzi molte volte risponde con delle domande. Cerca di catturare i suoi ascoltatori con immagini prese dalla vita... "Chi di voi se ha cento pecore..." Li coinvolge, li fa ragionare, li porta a dare un giudizio su di lui, sul suo vangelo e su loro stessi, sulla loro chiusura, sulle loro doppiezze... Con le parabole, Gesù va a cercare anche loro, che credono di essere giusti e giudicano gli altri.

Scopri le differenze
A volte questo giochetto può essere utile per accorgersi dei particolari che gli evangelisti aggiungono o omettono nei loro racconti. Proviamo a confrontare le due versioni di Matteo e Luca della pecorella smarrita.

In Matteo la parabola è una raccomandazione ai pastori della chiesa: vai a cercare la pecora smarrita, il fratello in crisi, perché Dio non vuole che si perda nessuno. Se lo trovi, rallegrati: hai guadagnato un fratello.

In Luca la pecora è messa decisamente peggio: non è solo un po' sbandata, ma è proprio persa e rischia di morire. E' la situazione di tanta gente alla deriva, che Gesù incontra.

Ma niente paura: qui il pastore è Lui, che cerca la pecora, finché non la trova, che cerca l'uomo perduto finché non lo salva, fosse pure all'ultimo momento come il buon ladrone. E poi, ancor più che in Matteo, baracca! Grande gioia, festa con gli amici, festa in Paradiso!

- Cosa mi fanno venire in mente le due parabole della pecorella e della moneta perdute?

- Oggi Gesù che immagini avrebbe usato?

- In quali momenti, situazioni della vita, ho sperimentato la misericordia di Dio, il suo desiderio di salvarmi, la sua gioia per la mia salvezza?

- Cercare, prendere sulle spalle, rallegrarsi... Come esprimiamo nella vita delle nostre parrocchie queste azioni di Gesù buon pastore?

Un titolo per la parabola
Abbiamo sentito raccontare questa bella parabola fin da bambini, come la parabola del "Figliol prodigo". La parabola del ritorno alla casa del Padre, la parabola della conversione, della festa del perdono. Ma qual è il titolo giusto? E' proprio il figlio minore il personaggio centrale? O non piuttosto il padre incredibile? E qual è l'importanza della seconda parte, qual è il ruolo dell'antipatico fratello maggiore?

Il figliol prodigo


Proprio un bel disgraziato questo ragazzo, uno che non ha capito niente di suo padre! Guardiamo alle sue parole, ai suoi gesti e a come si riduce:

- "Dammi...", "Mi spetta...": è un ingrato e pretende

- La parte di eredità: considera il padre già morto, lo considera un padrone da cui liberarsi

- Dopo non molti giorni, il figlio... partì per un paese lontano: crede di trovare la felicità fuori casa

- Sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto: butta via tutto, spreca la sua vita

- E si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci: ha perso tutta la sua dignità: prima era figlio, ora è servo; prima era in casa, ora è tra i porci; prima pretende, ora nessuno gli dà più niente...

- Voler fare a meno di Dio, credere di essere felici senza di lui, usare i suoi doni contro di lui, vivere da dissoluti: quali aspetti del figlio minore mi fanno più pensare?

Vero pentimento?


A questo punto il giovanotto pensa bene di tornare a casa. E' sinceramente pentito o ha semplicemente fame? Si ricorda della bontà del padre o della buona cucina? Vuole tornare a casa da figlio o non piuttosto da garzone? "Non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni".

- Che differenza c'è tra vergogna e pentimento, tra il pur positivo "rientrare in se stessi" e il mettersi davanti al Padre?


Il figlio perduto in casa
E l'altro figlio? Non se ne è andato fisicamente, ma col cuore sì. Anche lui è un figlio "perduto", un figlio lontano dal padre ... e quel che è peggio, non se ne accorge e pretende di aver ragione. Ma ascoltiamolo:

-"Ti servo da tanti anni". Parla da servo, non da figlio.

-"Non ho mai trasgredito a un tuo comando" Ma c'è tanta rabbia in questa triste obbedienza.

- "Non mi hai mai dato un capretto". Parla da "ragioniere", secondo la logica del dare-avere

-"Ora che questo tuo figlio..." Tutti gli ricordano che è suo fratello, ma lui non riesce a dire "fratello".

- "Che ha divorato i tuoi averi con le prostitute" Ma guarda un po' cosa va a ricordare questo "frustrato". Non sarà un po' invidioso?

Il fratello maggiore è un rappresentante di quei farisei che pensavano di essere giusti, a posto, irreprensibili; che credevano di guadagnarsi il favore di Dio coi loro meriti; che disprezzavano gli altri e non capivano proprio come Gesù potesse frequentare certa gente così poco raccomandabile.

Ma può rappresentare e smascherare anche certi nostri atteggiamenti: durezza e rigidità nel giudizio; fatica a perdonare, ad accogliere; poca gioia nel fare cose anche buone...

Mi è difficile ammettere che questo uomo amaro, risentito e sdegnato, da un punto di vista spirituale possa essermi più vicino del sensuale fratello più giovane. Tuttavia più penso al fratello maggiore, più mi ci riconosco...

Molti figli e figlie maggiori si sono perduti rimanendo sempre a casa. Ed è questo smarrimento - caratterizzato dalla facilità a giudicare e condannare, dalla rabbia e dal risentimento, dall'amarezza e dalla gelosia, dall'invidia e dalla rivalità - ad essere così dannoso e devastante per il cuore dell'uomo... anche perché è molto più difficile da identificare.

Quando ascolto attentamente le parole con cui il figlio maggiore attacca il padre, sento in esse un oscuro lamento. è il lamento che viene da un cuore che avverte di non aver mai ricevuto ciò che gli era dovuto. è il lamento espresso in infinite maniere sottili e non. è il lamento che grida: "Ho faticato tanto, ho lavorato a lungo, mi sono dato sempre da fare e ancora non ho ricevuto quello che altri ottengono tanto facilmente. Perché la gente non mi ringrazia..."

è in questo lamento che riconosco il figlio maggiore in me. Di frequente scopro che dentro di me non la finisco di mormorare, piagnucolare, brontolare, lagnarmi e affliggermi. Più mi soffermo su questi pensieri e peggiore diventa il mio stato. Poiché mi lascio attrarre nel vasto labirinto interiore dei miei lamenti, mi ci perdo sempre di più, finché alla fine, mi sento la persona più incompresa, respinta, trascurata di questo mondo.

Più rifletto sul figlio maggiore che è in me e più mi rendo conto di quanto sia veramente radicata in profondità questa forma di smarrimento e quanto sia difficile tornare a casa, partendo da lì. Tornare a casa da un'avventura sessuale sembra molto più facile che tornare a casa da un calcolato sdegno che ha messo le sue radici negli angoli più riposti del mio essere.

Il mio risentimento è qualcosa di strettamente connesso con l'altra faccia della mia virtù. Questa connessione spesso mi fa disperare. Proprio nel momento in cui voglio parlare o agire nel modo più generoso possibile, mi ritrovo ossessionato dal bisogno di essere amato. Proprio quando faccio del mio meglio per compiere bene un mio dovere, mi ritrovo a domandarmi perché gli altri non si applichino come faccio io. Proprio quando penso di essere capace di superare le mie tentazioni, provo invidia per coloro che ad esse si abbandonano. Sembra che dovunque sia il mio io virtuoso, là vi sia anche uno che si lamenta risentito...

Il figlio maggiore che è in me è capace di tornare a casa? Posso essere ritrovato come è stato ritrovato il figlio più giovane? Come posso tornare quando mi sono perso nelle spire del risentimento, quando sono divorato dalla gelosia, quando mi trovo imprigionato nell'obbedienza e nel dovere vissuti come una schiavitù? (cfr J.M.Nouwen, L'abbraccio benedicente)

- Lavorare con poca gioia e molta rabbia, invidiare chi ne fa meno, sentirsi sempre incompresi, vivere nel lamento e nella rivendicazione permanente, non riuscire più a dire le parole della fraternità e dell'amore, non riuscire più a far festa e a rallegrarsi, sospettare di tutto, rifiutare tutti gli inviti, ricordare sempre le ingiustizie e i torti, aprire i conti di dare e avere, vede solo nemici e concorrenti, non accettare la propria e l'altrui fragilità, non sentirsi come figli corresponsabili ma come servi in una famiglia, nella Chiesa...

- Ci sono anche in noi questi atteggiamenti da "figli maggiori"?

- Come possiamo aiutare i "figli maggiori" a tornare a casa?

Un padre incredibile


Il padre, non capito da nessuno dei suoi figli, è veramente un "grande". E' un padre incredibile, che sotto il velo dell'immagine parabolica, lascia trasparire i tratti del Padre celeste. Osserviamolo:

- Il padre divise tra loro le sostanze...Non fa niente per fermare il figlio, rispetta la sua libertà

- Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... Il padre aspetta, e va lui incontro al figlio...

- "Ma il padre disse ai servi..." Non lascia che il figlio finisca la formuletta che ha preparato.

- "Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi" Prima del mangiare, si preoccupa della dignità del figlio: gli ridà l'anello col sigillo, oggi diremo la tessera bankomat.

- Esce di nuovo, incontro al figlio maggiore, a pregarlo...

Certamente è qualcosa di incredibile questo comportamento. Entro i racconti parabolici sono presenti tratti inverosimili, paradossali... Quale padre di famiglia, quando finalmente gli capita a tiro il figlio scapestrato che ha la faccia tosta di ripresentarsi a casa dopo aver distrutto il patrimonio, non solo lo accoglie come se niente fosse, ma lì per lì si mette ad organizzare una festa? (Lc15)

Le parabole, con questi tratti incredibili, ci invitano a mettere in discussione le nostre logiche troppo chiuse, i nostri calcoli, i nostri conti troppo terra - terra, e a entrare un po' nella sana "follia" di Dio.

- Il perdono, l'impegno per gli altri, la gratuità, e altre scelte evangeliche... sono un po' robe da matti. Ho mai fatto qualcuna di queste "pazzie"? Conosco qualche "matto" per il Signore?

La gioia del perdono
I festeggiamenti appartengono al regno di Dio. Dio non solo offre perdono e riconciliazione, ma vuole elevare questi doni a fonte di gioia per tutti coloro che li testimoniano. Dio gioisce e invita gli altri a gioire con lui: Rallegratevi con me - dice il pastore - perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Rallegratevi con me - dice la donna - perché ho trovato la dramma che avevo perduto. Facciamo festa - dice il padre - perché questo mio figlio era perduto ed è stato ritrovato. Tutte queste voci sono le voci di Dio. Dio non vuole tenersi la gioia per sè. Vuole che tutti vi partecipino. La gioia di Dio è la gioia dei suoi angeli e dei suoi santi; è la gioia di tutti coloro che appartengono al Regno. (J.M.Nouwen, L'abbraccio benedicente)

- Come esprimiamo e celebriamo la gioia del perdono dato e ricevuto?

- Confessarci per noi è una gioia?

- Viviamo anche la Messa come festa del perdono? Come valorizziamo i suoi momenti penitenziali?

- Nella casa del Padre si mangia in abbondanza, le porte sono sempre aperte, il Padre è ogni giorno alla finestra, sono pronti per te non rimproveri e castighi, ma il vestito più bello e l'anello al dito, si sentono la musica e le danze... Viene proprio voglia di tornare! Anche nelle nostre parrocchie, nei nostri gruppi?

Un finale per la parabola
Come è poi andata a finire? Il figlio è entrato alla festa o è rimasto fuori, scuro in volto? Il finale è aperto e dipende da ognuno di noi, dalla nostra voglia di entrare - non da giudici, ma da peccatori perdonati - alla festa della misericordia

Per pregare
- Sei l'amico dei pubblicani e dei peccatori

- Sei il pastore in cerca della pecorella smarrita

- Vai in cerca dei lontani e dei vicini

- Sei l'invito alla festa del perdono

- Fai festa anche per un solo che si converte

- Ci riveli il volto incredibile di tuo Padre

- Sei la porta aperta della casa del Padre

- Sei il Figlio che ci fa figli

- Sei il Fratello che ci rende fratelli

- Non sei venuto a condannare, ma a salvare

- Fai festa per ogni peccatore pentito

- Ci rendi la gioia di essere salvati

- Offri il tuo sangue per la remissione dei peccati

- Perdoni chi ti mette in Croce

- Con la tua Pasqua, butti giù i muri dell'inimicizia

- Raccogli nella tua Chiesa l'umanità disgregata dal peccato

- Non crei una setta di perfetti, ma una comunità di peccatori perdonati

- Vuoi fare degli uomini una sola famiglia

- Ci chiedi di diventare misericordiosi come il Padre tuo

- Ci inviti a superare confronti, rivalità, risentimenti

- Ci inviti a partecipare alla gioia di tuo Padre

- Affidi alla tua Chiesa il ministero della riconciliazione




[1] Sono tre le parabole sulla misericordia che Gesù racconta al cap. 15 di Luca, per invitarci alla festa del perdono: pecora smarrita (persa lontano da casa); moneta perduta (persa in casa) e padre misericordioso con i due figli "persi", uno lontano e uno in casa.

[2] Anche Matteo ha la parabola della pecora smarrita. Solo Luca invece riporta quella della moneta smarrita. Luca è molto attento alla presenza della donne: ricorda il gruppo di donne che segue Gesù e alcune donne di primo piano nelle prime comunità, presenta sette figure femminili guarite da Gesù, riporta questa parabola femminile della moneta smarrita. Questo è molto forte per la cultura del tempo: anche la donna lavora per il Regno di Dio, anche il suo lavoro è segno della misericordia di Dio.

 
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