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Che si e' fatto per le famiglie in crisi finanziaria? PDF Stampa
04-12-2008

L'OBOLO DI STATO PER LE FAMIGLIE CHE NON ARRIVANO PIÙ A METÀ MESE 

È COME DARE L’ASPIRINA
A UN MALATO TERMINALE
 

I soldi per la spesa finiscono a metà mese. L'autonomia della busta paga scade, invece, alla fine della terza settimana per più di sei milioni di famiglie. Sono i dati allarmanti di un sondaggio Confesercenti-Swg.

La manovra finanziaria che dovrebbe rilanciare l’Italia, approvata in dieci minuti dal Consiglio dei ministri, riserva pochi spiccioli a famiglie e imprese. E soltanto per "una volta". «I soldi non si buttano mai via», ha detto Bersani. «Ma ci sono modi meno disgustosi di darli». Così, dopo solenni proclami, la montagna ha partorito un topolino. Siamo all’obolo di Stato. «Misura debole», ha detto Casini, «che vuole accontentare tutti, senza riuscirci». Demagogia, più che l’inizio d’una politica familiare seria.

È un tampone: come dare l’aspirina a un malato terminale. Servirà a poco, non farà ripartire i consumi, né ridurrà quella fascia di famiglie che non arriva a metà mese. La borsa, quella vera, quella colma di denaro, sarà a disposizione delle banche, che hanno bisogno di soldi freschi per i loro affari. La difesa dei risparmiatori è solo un alibi, perché oggi, in Italia, le famiglie non hanno più nulla da risparmiare. E per vivere si indebitano. Per non parlare di chi la spesa la fa tra gli avanzi del mercato o nei cassonetti.

Ricerca di cibo tra gli avanzi del mercato (foto Lobera).
Ricerca di cibo tra gli avanzi del mercato (foto Lobera).

L’elemosina di Stato non modifica d’una virgola la distribuzione del reddito, non lo sostiene, non crea nuovi posti di lavoro. Le grandi opere, finanziate con 16 milioni di euro, sono un libro dei sogni, che nessuno ha aperto (gli esperti hanno pure bocciato il ponte di Messina: troppo caro e pericoloso). La manovra è insufficiente, ci voleva più coraggio, soprattutto a sostegno delle famiglie, cenerentole d’Italia.

Tremonti ha inventato la social card, poteva chiamarla "tessera del pane" (come Mussolini) o "carta della povertà": era lo stesso. Almeno, era più sincero. Si tratta di poco più d’un euro al giorno a famiglia. Impresa degna del "cesarismo" populista, che ha trasformato i diritti in elemosine, come s’addice a sudditi più che a cittadini. È un certificato di povertà, che «emana aria di depressione e richiama la "tessera annonaria" dei tempi di guerra», come ha scritto Gramellini su La Stampa. Si mette alla gogna chi la riceve: è anonima, ma va esibita negli uffici o al supermercato. C’è da vergognarsi, mentre non ha pudore chi si "abbuffa" di soldi pubblici: i partiti italiani sono i più cari d’Europa.

E poi, non è detto che ci siano i soldi per finanziare la social card. Nella lettera inviata a chi ne ha diritto (ma quanta burocrazia per due soldi!), si legge: «Gentile signora/e… sarà ricaricata sulla base dei finanziamenti via via disponibili». È l’ultima beffa. Per ora ci sono, certi, 170 milioni di euro, ne servono 450. Tremonti dice che userà i "conti dormienti" e le multe dell’Antitrust. Ma quei soldi li aveva già promessi alle vittime del crack Parmalat e Cirio.

La social card è meno di quanto la gente ruba per fame nei supermercati. Le quantità di pane, pasta, tonno che saltano le casse, sono aumentate nell’ultimo anno del 16 per cento, per un valore pari a 500 milioni di euro (dati Cia, Confederazione italiana agricoltori). Gli spiccioli di Tremonti non ripagano neppure il "furto per fame". Andranno a un milione e 300 mila famiglie. Ma quelle che non mangiano un pasto normale tutti i giorni sono 7 milioni e mezzo (dati Istat). Chi ha 800 euro di pensione è escluso.

La parola magica è bonus, cioè "carità". Che è cosa buona, ma non deve farla lo Stato.

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