12-01-2009 |
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1-2)
Paolo è un buon ebreo e resta tale anche dopo la sua cosiddetta conversione. Egli non trascura tutto ciò che Dio ha fatto attraverso il popolo dell’Antica Alleanza. Riconosce che c’è stata una rivelazione divina, realizzata attraverso profeti e sapienti di un tempo e confluita nella Torah ebraica. Paolo ha comunque anche la coscienza di un compimento definitivo di quella rivelazione, attraverso l’opera del Figlio di Dio Gesù Cristo.
Oggi diciamo che Antico e Nuovo Testamento, nelle Sacra Scritture, vanno tenuti in collegamento e si illuminano a vicenda. Siamo anche a pochi giorni dalla giornata del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio) e quindi non possiamo mai dimenticare che le radici del cristianesimo sono ebraiche. La Parola di Gesù, fissata nei vangeli, trova spiegazione nelle figure premonitrici dell’Antico Testamento e della tradizione religiosa ebraica. Queste danno leggibilità e spiegazione a ciò che Cristo viene poi ad annunciare come “Parola Ultima e Definitiva”.
Quando leggi le Scritture e in particolar modo i Vangeli e le lettere degli apostoli, non dimenticare mai di cercare i collegamenti anche con le parole dell’Antico Testamento.
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