23-04-2009 |
«Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa». (Colossesi 1,24) L'Apostolo è consapevole di dover continuamente generare alla fede le comunità da lui fondate, consumando nella propria carne la Passione di Gesù che, morendo, ha dato vita alla Chiesa. Il martirio cruento di san Paolo sarà il culmine di un martirio quotidiano costituito di fatiche, veglie, digiuni, carceri, percosse, tribolazioni senza numero. La sua letizia nel patire si spiega solo quale frutto della sua fede e del suo amore: amore per la Chiesa che coincide con l'amore per Cristo. Saper non solo abbracciare la propria sofferenza fisica e morale, ma anche farsi carico del dolore altrui, questa è la vera imitazione di Cristo in cui ogni cristiano dovrebbe impegnarsi contando sull'aiuto della divina grazia. È così che si prolunga la Passione redentrice del Cristo in noi, che siamo prolungamento della sua umanità nel tempo. Grazie a questa «com-passione» viene valorizzata tutta la sofferenza umana, non soltanto quella dei santi e dei credenti consapevoli, ma anche di quanti sono ignari del mistero di Cristo, anche dei più miseri che non sanno dare alcun senso soprannaturale alla vita. Con il suo patire nella nostra carne Gesù ha trasfigurato il dolore; gli ha dato un volto e un sorriso d'amore. (A.M.Canopi)
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