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02-10-2009
Pentateuco


GENESI


In Principio Dio creò il cielo e la terra.
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano
l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu.
Dio vide che la luce era cosa buona
e Dio separò la luce dalle tenebre.
Dio chiamò la luce giorno,
mentre chiamò le tenebre notte.
E fu sera e fu mattina: giorno primo.
Dio disse: “ Sia un firmamento in mezzo alle acque
per separare le acque dalle acque”. Dio fece
il firmamento e separò le acque che sono sotto
il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento.
E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo.
E fu sera e fu mattina. Secondo giorno.


Dio vide che tutto era buono

In principio Dio fece il mondo. Ma era ancora deserto, così decise di mettere ordine. Comandò che ci fosse la luce: Dio parlò, e ciò che disse avvenne:  ci fu la luce. Dio si fermò a guardare quello che aveva fatto e si accorse che era buono e bello. Allora continuò, e allo stesso modo fece il cielo, la terra, il mare, le piante e i frutti, il sole, la luna e le stelle, gli uccelli e i pesci e gli altri animali.
Alla fine Dio creò l’essere umano: maschio e femmina, che assomigliano a Dio perché sono capaci di parlare con lui, di ascoltarlo, di volere bene e di amare. Dio guardò tutto quello che aveva fatto, e vide che era veramente tutto bello e buono.
Poi Dio disse all’uomo di continuare a mettere ordine nel mondo: così l’uomo diede i nomi agli animali e alle piante e imparò a distinguerle e a usarle per mangiare e per vivere. Tra tutte le cose che c’erano però, e a cui aveva dato il nome, l’uomo si accorse che nessuna era come lui. Invece come lui era la donna, e l’uomo si accorse che con lei poteva vivere strettamente unito per sempre, amando, e questo riempì di gioia il cuore dell’uomo.
Poi Dio pose l’uomo e la donna in un giardino, in mezzo alla natura, per abitarvi, coltivarlo e custodirlo. L’uomo e la donna erano deboli e fragili, ma non avevano paura perché nessuno dei due aveva pensieri cattive o brutte intenzioni nei confronti dell’altro.
Però entrambi dovevano ricordarsi che per dover vivere bene e coltivare il giardino bisognava rispettare l’ordine che Dio aveva fatto, seguire le sue istruzioni e i suoi comandi. Ma a un certo momento il serpente disse alla donna che forse Dio si era sbagliato, che l’ordine che lui aveva dato alle cose non andava molto bene, e che era meglio fare di testa propria. L’uomo e la donna si fecero convincere dal serpente, e cominciarono addirittura a pensare che Dio non voleva loro bene, che li aveva presi in giro e ingannati.
Così mangiarono il frutto di un albero che Dio aveva detto di non mangiare: l’albero della conoscenza del bene e del male. Essi pensavano così di poter diventare come Dio, invece, dopo aver mangiato quel frutto, si accorsero di essere deboli e fragili e cominciarono ad aver paura che qualcuno potesse far loro del male. E siccome avevano paura, quando arrivò Dio per parlare con loro si nascosero. Dio si accorse che avevano paura di lui. Iniziò a parlare con l’uomo ma lui rispose che tutta la colpa era della donna, e la donna disse che era tutta colpa del serpente. Dio capì che l’uomo e la donna non si volevano più bene come prima, l’ordine che lui aveva pensato non c’era più, perché l’uomo gli aveva disobbedito.
Così l’uomo e la donna non si considerarono più uguali, e la donna fu sottomessa all’uomo. Anche avere dei figli, che è un’esperienza bellissima, divenne per la donna un’occasione di dolore.

Ma l’ordine che Dio aveva pensato non funzionava più neppure fra l’uomo e la natura.
Così l’uomo dovette lavorare con molta fatica e sudore per poter ricavare dalla terra delle piante e dei frutti da mangiare. L’uomo divenne persino un distruttore della natura, invece di custodirla come voleva Dio.
Così l’uomo e la donna si ritrovarono anche lontani da Dio, ma Dio non li abbandonò del tutto. Prima di lasciarli fece per loro dei vestiti di pelle, per proteggerli. L’uomo si chiamò Adamo e mise nome alla donna Eva.
Adamo ed Eva ebbero due figli: il primo si chiamava Caino, il secondo Abele.
Caino faceva il contadino, Abele invece faceva il pastore. Caino però divenne invidioso di Abele, perché il lavoro di suo fratello era più prospero. Dio disse a Caino che non doveva essere invidioso, ma Caino non lo ascoltò e uccise suo fratello. Allora  Dio chiese a Caino : “Che cosa hai fatto ?”, e Caino si accorse di avere commesso una grave colpa.
Chiese a Dio di essere perdonato e di non venire ucciso, e Dio, che ama sempre gli uomini, intervenne affinché Caino non fosse ucciso.


Nell’arca uomini e animali

Dopo l’omicidio di Caino, gli uomini si erano moltiplicati sulla terra e vi abitavano e lavoravano. Essi però diventavano sempre più prepotenti e malvagi e Dio non poteva sopportare questo comportamento. Con questo modo di fare gli uomini facevano vedere che non avevano compreso il dono che Dio aveva fatto loro con la creazione. Dio decise perciò di mandare una grande pioggia sulla terra per distruggerli. Ma tra gli uomini c’era anche Noè che, al contrario degli altri, si comportava come Dio voleva.
Dio allora volle parlare con Noè e gli spiegò che aveva deciso di mandare un diluvio per colpa del grande peccato degli uomini. Dio insegnò a Noè a costruirsi una grande nave, un’arca, che potesse galleggiare sull’acqua e così salvarsi dal diluvio.
Nell’arca, oltre a Noè, dovevano salire anche sua moglie e i suoi figli con le loro mogli. Anche gli animali andavano salvati dal diluvio: Noè ne doveva far salire una coppia per ogni specie sull’arca. Noè fece tutto quanto il Signore gli aveva detto di fare. Dopo che fu salito sull’arca con tutta la sua famiglia e tutti gli animali, cominciò a piovere molto forte e i fiumi e il mare si ingrossarono e ricoprirono la terra. Piovve per quaranta giorni e quaranta notti e tutti gli animali e gli uomini morirono, tranne quelli che erano nell’arca con lui.

Dopo che Dio ebbe fatto smettere di piovere e l’acqua si fu un po’ abbassata, l’arca si fermò sopra alcune montagne molto alte. Noè fece uscire una colomba dall’arca, ma la colomba tornò indietro perché tutta la terra era ancora ricoperta dall’acqua. Noè aspettò sette giorni e poi fece uscire ancora la colomba: essa tornò indietro alla sera con un ramo di ulivo nel becco, e Noè capì che l’acqua si stava abbassando.
Dopo altri sette giorni Noè fece uscire la colomba, ed essa non tornò più indietro.
Noè vide che non c’era più acqua sulla terra e uscì dall’arca con la sua famiglia e con tutti gli animali. Noè ringraziò il Signore perché il diluvio era cessato ed era come se il mondo fosse stato creato di nuovo.
E il Signore, ascoltando la preghiera di Noè, promise che non ci sarebbe più stato un altro diluvio. “Anche se gli uomini e le donne sono capaci di essere cattivi fin da ragazzi”, disse il Signore, “io non li distruggerò tutti, anzi, mi preoccuperò che il tempo e le stagioni siano sempre regolari, così che gli uomini e le donne possano vivere bene sulla terra”.

Dio allora fece un’alleanza, un patto con Noè, che valeva non solo per Noè, ma anche per tutti i suoi discendenti, quindi per tutti gli uomini.
Dio si impegnò a non mandare più il diluvio e comandò agli uomini che anch’essi si rispettassero l’un l’altro e non si uccidessero l’un l’altro come invece aveva fatto Caino con Abele. A questo punto Dio fece sorgere l’arcobaleno e disse a Noè: “Quando sorgerà l’arcobaleno, io mi ricorderò della promessa che ho fatto e anche se verrà la pioggia, non sarà più così grande da devastare la terra”. Perciò l’arcobaleno è diventato come un segno dell’amore di Dio per ogni uomo e ogni donna.
Dopo molto tempo gli uomini avevano ricominciato a popolare la terra e parlavano tutti la stessa lingua. Giunti in una grande pianura decisero di costruire una torre così alta che la cima toccasse il cielo! Volevano far vedere in questo modo quanto erano importanti e potenti. Dio vide quello che stava accadendo e non gli piacque, perché quegli uomini erano troppo orgogliosi e volevano essere troppo potenti. Quando l’uomo vuole essere troppo importante e potente diventa anche prepotente, perché pensa di poter fare tutto quello che lui vuole. Dio allora decise di impedire che quegli uomini portassero a termine la loro impresa, e fece in modo che non parlassero più tutti la stessa lingua, così non si capirono più e non poterono più lavorare tutti insieme. Così gli uomini non stettero più tutti insieme. I popoli diversi, con la propria lingua, si stabilirono nelle diverse parti della terra.


“Abramo, esci dalla tua terra”

Abramo abitava in una città dell’Oriente chiamata Carrai con suo padre e la sua famiglia. Un giorno Dio parlò ad Abramo e gli disse: “ Lascia la città dove abiti e la tua famiglia, e va’ ad abitare in un altro paese. Io ti farò vedere in quale paese dovrai abitare e in quel paese i tuoi figli e i figli dei tuoi figli diventeranno numerosi e formeranno un grande popolo. Io ti sarò vicino, ti proteggerò e ti aiuterò; attraverso di te sarò vicino a tutti gli uomini”.
Abramo obbedì e partì, come gli aveva detto Dio, con Sara sua moglie. Abramo non aveva figli, ma Dio gli aveva promesso che avrebbe avuto tanti discendenti.
Abramo andò a vivere nel paese che Dio aveva scelto e che si chiamava Canaan.
Dopo essere stato un po’ di tempo in quel paese, Abramo cominciò ad avere qualche dubbio su quello che Dio gli aveva promesso. Infatti lui e sua moglie diventavano vecchi e non riuscivano ad avere figli. Allora Dio venne ancora a parlare con Abramo e gli fece questa promessa: “I tuoi discendenti saranno tantissimi, così come il numero delle stelle del cielo, che nessuno riesce a contare”. Abramo credette alla parola di Dio e Dio fu contento della fiducia che Abramo aveva in lui. Dio allora fece un patto, un’alleanza con Abramo. Con questa alleanza il Signore si impegnò a mantenere le sue promesse;
Abramo a sua volta si impegnò ad essere sempre fedele a Dio.

Il tempo passava e ad Abramo e Sara ancora non nascevano figli.
Un giorno però Abramo vide tre uomini che erano in viaggio. Siccome passavano vicino a dove abitava, corse loro incontro per invitarli a fermarsi a casa sua per mangiare e riposarsi un poco. Questi uomini accettarono volentieri, mangiarono e bevvero in casa di Abramo e, quando ebbero finito, gli dissero: “Tra un anno torneremo da te e allora tua moglie Sara avrà un figlio”.Quegli uomini infatti erano stati mandati da Dio. Ma Sara non credette a questa promessa e si mise a ridere. Allora uno di quegli uomini si arrabbiò con Sara e disse: “Certamente fra un anno tu avrai un figlio, perché niente è impossibile al Signore!”. Sara si vergognò di essersi messa a ridere. Dopo un anno infatti a Sara nacque un figlio e lo chiamò Isacco, che in ebraico, la lingua della Bibbia, significa “sorriso”.
Abramo era molto contento di aver avuto un figlio, ma la sua fedeltà a Dio fu messa di nuovo alla prova. Dio chiese ad Abramo di rinunciare al proprio figlio, tanto atteso, perché fosse soltanto di Dio. Al tempo di Abramo però si pensava che offrire un figlio a Dio significasse ucciderlo. Abramo allora si mise in viaggio con Isacco per salire su un monte. Di solito, infatti, per fare offerte a Dio si andava su un monte.
Isacco gli disse : ”Papà, stiamo andando sul monte per donare qualcosa a Dio, ma non abbiamo niente da dargli!”. E Abramo rispose: “Dio stesso ci farà trovare qualcosa da donare”.

Quando giunsero sul monte, Abramo legò Isacco e stava per ucciderlo, ma il Signore intervenne e disse ad Abramo: “Io so che mi vuoi bene e vedo che sei disposto a rinunciare a tuo figlio per me, ma non devi ucciderlo”.
Abramo si guardò intorno e vide un capro. Lo prese e l’offrì a Dio e pensò: “Davvero il Signore mi ha fatto trovare qualcosa da donargli”. Abramo poi ritornò con Isacco a casa sua. E abitò ancora parecchi anni nel paese di Canaan.
Passò del tempo e Sara morì.
Abramo diventava sempre più vecchio e sentiva che stava per morire anche lui. Allora chiamò uno dei suoi servitori e gli disse: “Devi andare a cercare una moglie per mio figlio Isacco. Però non deve essere una donna di questo paese dove ora abitiamo, ma deve essere una donna del paese da dove sono venuto. A quel tempo infatti non si usava sposare donne straniere e Abramo si sentiva straniero nel paese di Canaan dove ora viveva. Il servo allora andò nel paese dove aveva abitato Abramo e tornò portando una ragazza bella e gentile, che si chiamava Rebecca. Isacco si innamorò subito di lei e la sposò.
Dopo questi fatti Abramo morì e lasciò in eredità tutte le sue cose ad Isacco.


I gemelli, Esaù e Giacobbe

Isacco e Rebecca ebbero due figli, gemelli, Esaù e Giacobbe. Esaù però era nato prima di Giacobbe, quindi – secondo le usanze antiche – aveva il diritto di ereditare tutto quello che possedeva Isacco. Giacobbe non era molto contento di questo.
Esaù faceva il cacciatore, invece Giacobbe era un pastore. Un giorno, tornando dalla caccia, Esaù aveva molta fame. Incontrò suo fratello Giacobbe con il gregge, che stava mangiando un piatto di minestra di lenticchie. Esaù disse: “Dammi un po’ di minestra, perché sto morendo di fame!”.
Giacobbe allora subito rispose: “ Giura che cedi a me i tuoi diritti di primogenito”.
Ed Esaù, siccome aveva molta fame, giurò come voleva Giacobbe. Passò del tempo e Isacco era diventato molto vecchio. Pensando che avrebbe potuto morire presto, chiamò Esaù e gli disse:” Va’ a cacciare per me e preparami qualcosa di buono da mangiare, poi ti benedirò”. Benedire significava chiedere al Signore, che aveva protetto Abramo e suo figlio Isacco, di continuare a proteggere i discendenti di Abramo, in particolare il primogenito. In più, dopo essere stato benedetto, Esaù avrebbe ereditato tutto quello che era di Isacco .Esaù quindi partì volentieri per andare a caccia.
Rebecca, la moglie di Isacco, aveva sentito quello che suo marito aveva detto ad Esaù. Rebecca, però, preferiva Giacobbe ad Esaù. Allora  disse a Giacobbe di andare a prendere due capretti del gregge. Lei li avrebbe cucinati come piaceva ad Isacco, così Giacobbe si sarebbe potuto presentare al posto di Esaù per ricevere la benedizione.
Isacco infatti era ormai cieco e non se ne sarebbe accorto.
Giacobbe disse: “Mio fratello Esaù ha molti peli sulle braccia, mentre io ne ho pochissimi: se mio padre mi tocca, mi riconoscerà!”. Ma Rebecca rispose: “Non ti preoccupare!”. Prese la pelle dei capretti e con quella ricoprì le braccia di Giacobbe, così che sembravano pelose come quelle di suo fratello Esaù. Giacobbe si presentò a Isacco, e Isacco non lo riconobbe e lo benedisse, pensando che fosse Esaù. Quando tornò dalla caccia, andò dal padre per ricevere la benedizione. Ma ormai Isacco aveva benedetto Giacobbe e quindi Esaù aveva perso l’eredità.
Esaù si arrabbiò molto con Giacobbe. Rebecca, per paura che potesse accadere qualcosa di male a Giacobbe, gli disse di scappare e di andare ad abitare da suo fratello Libano, nella città di Carran.
Giacobbe partì e, dopo una giornata di cammino, si fermò in un luogo per dormire. Mentre dormiva sognò una scala che andava dalla terra al cielo e su essa gli angeli salivano e scendevano. E nel sogno gli apparve il Signore che ripetè anche a lui le promesse che aveva fatto ad Abramo e ad Isacco. Il Signore promise che sarebbe stato sempre vicino a Giacobbe, che gli avrebbe dato tanti figli e discendenti e che questi discendenti avrebbero abitato nel paese dal quale lui stava scappando.
Quando si svegliò, Giacobbe rese grazie al Signore e chiamò  quel luogo Betel, che in ebraico significa “Casa di Dio”, perché pensava:”Qui abita Dio che mi è apparso”.
Giacobbe arrivò a casa dello zio Làbono, che lo accolse volentieri .Qui Giacobbe si innamorò di Rachele, figlia di Làbono. A quel tempo però se un uomo volessi sposare una donna doveva pagare una dote al padre della donna.Giacobbe non aveva soldi per questo si mise d’accordo con Libano di lavorare gratis per lui sette anni. Cosi Giacobbe lavorò sette anni con Libano e alla fine dei sette anni, una sera, fu organizzato il matrimonio.
Arrivò la sposa, col vestito lungo e il volto coperto dal velo, come si usano, e Giacobbe la prese con sé nella sua tenda. Il mattino dopo però Giacobbe che la sposa non era Rachele, ma Lia, la sua sorella maggiore.
Giacobbe si arrabbiò con Libano, ma Libano rispose:< Da noi si usa che la sorella maggiore si deve sposare prima della minore. Se lavorerai per me altri sette anni, ti darò in moglie Rachele. E Giacobbe, siccome amava molto Rachele, lavorò con Libano altri sette anni e sposò anche Rachele.
Da Lia a Rachele Giacobbe ebbe dodici figli: Ruben, Simeone, Levi, Guido, Don, Nèftali, Gad, Aser, Issacor, Zàbulon, Giuseppe e Beniomino.


Giacobbe diventa viceré d’Egitto

Giacobbe aveva dodici figli. Tra tutti questi però preferiva Giuseppe e gli altri fratelli erano gelosi di lui. E avvenne che Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai suoi fratelli. Aveva sognato che lui e i suoi fratelli erano nei campi, a raccogliere il grano, e stavano legando i covoni. A un certo punto il covone di Giuseppe rimaneva dritto da solo, mentre quelli legati da loro si piegavano davanti al suo. Allora i suoi fratelli si arrabbiarono perché dal sogno di Giuseppe si capiva che lui avrebbe comandato su di loro. Poi Giuseppe fece un altro sogno: la luna, il sole e undici stelle si inchinavano davanti a lui. Quando raccontò questo sogno suo padre lo sgridò:< Dovremo forze venire io, tua madre e i tuoi fratelli a inchinarci davanti a te?> E i fratelli di Giuseppe si arrabbiarono ancora di più con Giuseppe. Un giorno, che i fratelli di Giuseppe erano lontani da casa per pascolare il gregge , Giacobbe disse a Giuseppe < Và per favore a vedere se i tuoi fratelli e il gregge stanno bene>,Giuseppe andò, ma quando i suoi fratelli lo videro arrivare, da lontano, pensarono di ucciderlo.
Ma uno di essi disse:< Non uccidiamo subito, buttiamolo invece in questa cisterna vuota e lo lasciamo solo!>
Cosi quando Giuseppe si avvicinò a loro, gli saltarono addosso, gli tolsero i vestiti e lo buttarono nella cisterna vuota. Passò di li una carovana di mercanti diretta in Egitto.
E uno dei fratelli disse:< Invece di far morire Giuseppe è meglio venderlo come schiavo a questi mercanti.>
Gli altri fratelli lo ascoltarono. Così Giuseppe arrivò in Egitto e divenne schiavo di Potifar, il capo delle guardie del Faraone.
Giuseppe era intelligente e il Signore gli voleva bene. Ben presto Potifar si accorse che Giuseppe era una persona capace, affidò a lui tutte le sue proprietà. Ma Giuseppe era anche bello, e così la moglie di Potifar si era innamorata di lui.
Un giorno che Potifar non c’era, la moglie andò da Giuseppe e cercava di convincerlo ad amarla, ma Giuseppe non voleva perché era la moglie del suo padrone. Lei però, cercava di abbracciarlo e di baciarlo e così Giuseppe scappò.
Allora lei si volle vendicare dicendo a tutti che era stato Giuseppe a cercare di baciarla e che lei non aveva voluto.
Così quando tornò, Potifar si arrabbiò molto con Giuseppe, e lo mise in prigione. In prigione c’erano anche due servi del Faraone, il re d’Egitto: il capo dei coppieri e il capo dei panettieri che avevano disobbedito al Faraone. Di notte queste due persone fecero dei sogni strani e li raccontarono a Giuseppe.
Giuseppe disse che quei sogni erano dei segni di quanto stava per avvenire; che si potevano comprendere se si aveva fiducia in Dio. E spiegò al coppiere che presto il Faraone l’avrebbe perdonato e sarebbe ritornato al suo lavoro, invece il panettiere sarebbe stato impiccato. E così avvenne.
Appena il coppiere uscì di prigione, Giuseppe gli disse: “Quando sarai vicino al Faraone ricordati di me e digli che io sono stato mandato ingiustamente in prigione”. Ma il coppiere si dimenticò di Giuseppe. Dopo due anni, una notte il Faraone fece due sogni. Sognò sette vacche magre e brutte che si mangiavano sette vacche grasse e belle.

Poi sognò anche sette spighe, brutte e con poco grano, che si mangiavano sette belle spighe, piene di grano. Al mattino il Faraone cercava qualcuno che potesse capire quei sogni.
Allora il coppiere si ricordò di Giuseppe. Il Faraone mandò subito a chiamare Giuseppe e gli raccontò i suoi sogni.
Giuseppe spiegò: “I due sogni hanno lo stesso significato: ci saranno sette anni di raccolti abbondanti e ci sarà tanto da mangiare per tutti, poi verranno sette anni di carestia in cui sarà difficile trovare cibo da mangiare.
Bisogna fare così: nei primi sette anni  si deve mettere da parte, ogni anno, un po’ di grano. Così ci saranno delle riserve di cibo da usare nei sette anni di carestia. Il Faraone fu molto contento della risposta di Giuseppe e disse: “Tu sarai incaricato di fare questo lavoro”. E fece diventare Giuseppe viceré d’Egitto.
Per sette anni Giuseppe raccolse il cibo che era abbondante in Egitto e lo conservò nei magazzini del Faraone. Così quando arrivarono gli anni di carestia, tutti andarono da Giuseppe a chiedere il grano e lui provvedeva a distribuirlo.


Giuseppe riabbraccia i fratelli

C’era una gran carestia in tutto il paese di Egitto, ma Giuseppe, il figlio di Giacobbe che era diventato viceré d’Egitto, aveva accumulato il grano nei magazzini del Faraone. Così egli distribuiva il grano a tutti quelli che venivano a chiederlo perché avevano fame.
Anche Giacobbe e i suoi figli nella loro terra non avevano quasi più niente da mangiare. Allora Giacobbe disse ai suoi figli: “Andate in Egitto, perché ho sentito dire che là si può trovare del cibo”.
I figli di Giacobbe partirono per andare in Egitto a comprare il grano, tutti tranne Beniamino, il più piccolo, a cui Giacobbe si era molto affezionato dopo che non aveva più rivisto Giuseppe.
Quando arrivarono in Egitto andarono da Giuseppe, ma non lo riconobbero perché era vestito come un egiziano e perché era passato tanto tempo. Giuseppe invece li riconobbe subito, ma li trattò male e disse: “Ecco, voi siete delle spie straniere che siete venute a vedere come si può fare per conquistare l’Egitto”.
I fratelli risposero : “Non è vero, siamo venuti solo per comprare del cibo. Siamo dieci fratelli: nostro padre infatti ha avuto dodici figli, ma uno è morto e il più piccolo è rimasto a casa con nostro padre”.


Giuseppe allora disse: “Per vedere se dite la verità faremo così: portatemi qui il vostro fratello più piccolo”. Così fecero. Essi tornarono a casa e riferirono a Giacobbe quello che aveva detto loro Giuseppe, Giacobbe però non voleva lasciar andare Beniamino in Egitto.
Ma, costretto dalla fame, dovette cedere, e i fratelli partirono con Beniamino per tornare in Egitto.
Questa volta Giuseppe li trattò bene, ma ancora non si fece riconoscere da loro. Essi comprarono il grano e ripartirono; ma Giuseppe fece mettere di nascosto una delle sue coppe nella borsa di Beniamino.
Dopo che avevano fatto un po’ di strada, arrivò un servo di Giuseppe e li accusò di essere dei ladri. Loro dissero che non era vero, ma dalla borsa di Beniamino saltò fuori la coppa. Allora ritornarono indietro da Giuseppe che disse: “Quello che ha rubato la coppa per punizione rimarrà mio schiavo, gli altri, invece, possono tornare a casa”. Ma uno dei fratelli cominciò a spiegare che loro non potevano tornare senza Beniamino, perché altrimenti il loro padre Giacobbe sarebbe morto di dolore. “Piuttosto”, diceva, “rimango io schiavo al suo posto”. Giuseppe capì che i suoi fratelli erano cambiati, non erano più come quando lo avevano venduto ai mercanti per invidia. Allora Giuseppe si fece riconoscere e disse: “Io sono Giuseppe vostro fratello”.

Essi piansero di gioia nel vederlo e andarono insieme da Giacobbe che all’inizio non voleva credere che Giuseppe fosse ancora vivo. Ma quando lo vide il suo cuore fu pieno di gioia. Il Faraone aveva saputo che Giuseppe aveva ritrovato i suoi fratelli e, siccome voleva molto bene a Giuseppe, invitò tutti a stabilirsi in Egitto.
Così Giacobbe e i suoi figli andarono ad abitare in Egitto.
Giacobbe visse con i suoi figli ancora per diciassette anni in Egitto.
Poi Giacobbe si ammalò e Giuseppe lo venne a sapere. Giuseppe allora andò a trovare Giacobbe con i suoi due figli Efraim e Manasse. Giacobbe non li conosceva perchè erano nati mentre Giuseppe viveva da solo in Egitto.
Giacobbe benedisse i figli di Giuseppe, chiedendo a Dio, che aveva aiutato lui, Isacco e Abramo, di proteggere e aiutare anche i figli di Giuseppe. Giacobbe sentiva che stava per morire, allora fece chiamare tutti i suoi dodici figli e li benedisse. Dopo questo morì. Giuseppe e i suoi fratelli presero il corpo del padre e andarono a seppellirlo nella loro terra, in Canaan. Quando furono ritornati in Egitto i fratelli di Giuseppe cominciarono ad avere paura che, morto il loro padre Giacobbe, Giuseppe volesse vendicarsi di quando l’avevano venduto come schiavo. Ma Giuseppe disse: “Non dovete aver paura. Dal male che voi mi avete fatto, Dio ha fatto venire un bene per tutti noi. Infatti se io non fossi venuto in Egitto, non avrei potuto aiutarvi: voi e i vostri figli sareste quasi sicuramente morti di fame”.
Giuseppe visse in pace con i suoi fratelli in Egitto ancora per molto tempo, rispettato e stimato da tutti.
Poi, all’età di centodieci anni morì.
 
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