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02-10-2009
Pentateuco

ESODO


Questi sono i nomi dei figli di Israel entrati in Egitto,
essi vi giunsero insieme a Giacobbe, ognuno con la sua famiglia:
Ruben, Simeone, Levi e Giuda, Issacar, Zàbulon e Beniamino, Dan e Nèftali, Gad e Aser . Tutte le persone discendenti da Giacobbe erano settanta. Giuseppe si trovava già in Egitto. Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione.
I figli di Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi
E molto forti, e il paese ne fu pieno.
Allora sorse in Egitto un nuovo re,
che non aveva conosciuto Giuseppe.


Gli Ebrei oppressi in Egitto

Era passato molto tempo da quando Giuseppe aveva fatto venire in Egitto suo padre Giacobbe e i suoi fratelli. I discendenti di Giuseppe e dei suoi fratelli erano diventati molto numerosi. Il nuovo re dell’Egitto, però, che non aveva conosciuto Giuseppe, pensò che questo popolo straniero potesse diventare pericoloso, aiutando i nemici dell’Egitto. Perciò ordinò che gli Israeliti- così si chiamavano i discendenti di Giacobbe, oppure anche Ebrei- fossero condannati ai lavori forzati: dovevano produrre i mattoni e costruire delle città per il Faraone. In più ordinò che ogni bambino maschio nato dagli Israeliti fosse ucciso, così che non ci fossero più discendenti.
Ma una donna ebrea, avuto un figlio maschio, lo nascose per non farlo uccidere. Quando il bambino ebbe tre mesi, non potendo più tenerlo nascosto, lo mise in una cesta e lo lasciò sul Nilo, il fiume dell’Egitto.
La principessa, figlia del re d’Egitto, vide la cesta che galleggiava sull’acqua, l’aprì e trovò il bambino. Decise allora di adottarlo come se fosse suo e lo chiamò Mosè. Mosè fu allevato come un egiziano, ma, diventato adulto, volle andare a vedere come viveva la gente del suo9 popolo, gli Ebrei. Vide che erano costretti a lavorare come schiavi e notò una guardia egiziana che maltrattava un ebreo. Mosè, allora, si arrabbiò così tanto che uccise la guardia. Poi, per paura di essere accusato di omicidio, scappò nel deserto. Là lo accolse un capotribù di nome Ietro. Mosè visse parecchio tempo vicino a lui, sposò sua figlia Zippora ed ebbe dei figli.

Un giorno, mentre Mosè pascolava il gregge di Ietro, vide un cespuglio che bruciava. Continuava a bruciare, però non si consumava. Mosè si avvicinò curioso e sentì una voce che lo chiamava: “Mosè, Mosè!”. Mosè rispose: “Eccomi”. E la voce disse: “Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ho visto che il mio popolo, Israele, è schiavo sotto il Faraone e ho deciso di intervenire per liberarlo. Tu andrai dal Faraone, re di Egitto, per dirgli di lasciare andare via il mio popolo”. Mosè, però, aveva paura di andare dal Faraone, e cominciò a cercare delle scuse per non andare. Ma Dio non lo volle ascoltare. Alla fine Mosè disse: “Io non sono capace di parlare bene”. Allora Dio gli replicò seccamente: “C’è tuo fratello Aronne che sa parlare bene, verrà lui con te. E adesso va’”. Mosè partì per tornare in Egitto, incontrò suo fratello Aronne e gli raccontò tutto quello che aveva detto il Signore. Insieme andarono dal Faraone per chiedergli di lasciare andare il popolo di Israele, ma il Faraone non volle ascoltarli. Anzi, ordinò che i lavori per gli Ebrei fossero ancora più duri. E Mosè si lamentò con Dio: “Perché mi hai fatto venire qui a parlare con il Faraone, se questo ha portato del male per il tuo popolo? “. Dio gli rispose: “Io compirò cose grandiose e meravigliose e convincerò il Faraone a lasciarvi andare”.

Mosè e Aronne si presentarono al Faraone ancora una volta, Aronne gettò il suo bastone per terra e il bastone divenne un serpente, ma il Faraone non volle ascoltarli. Allora Mosè e Aronne, un altro giorno, si misero sulla riva del fiume. Quando arrivò il Faraone, Aronne toccò l’acqua del fiume con il bastone e l’acqua divenne come sangue e non si poteva bere. Il Faraone però non volle ascoltarli. Aronne stese ancora il bastone e dal fiume uscirono tantissime rane, che invasero tutto il paese. Il Faraone si spaventò e disse a Mosè: “Pregate il Signore perché faccia sparire le rane, e io vi lascerò andare”.
Morte le rane, il Faraone cambiò idea. Allora Dio mandò il flagello delle zanzare e dei mosconi in tutto il paese, e ancora il Faraone promise. Dio, per mezzo di Mosè e Aronne, compì altri segni grandiosi contro gli Egiziani: fece morire il loro bestiame, fece venire un’infezione di grossi foruncoli sulla loro pelle, fece piovere la grandine che distrusse i raccolti, fece arrivare le cavallette che divorarono tutta l’erba, fece anche diventare buio su tutto l’Egitto per tre giorni. Ma il Faraone, anziché liberare gli Ebrei, si incattiviva sempre di più: prima, spaventato dai prodigi prometteva, poi, istigato anche dai suoi dignitari, cambiava idea e non li lasciava partire.


Mosè libera il suo popolo

Dio aveva fatto cose straordinarie, tramite Mosè e Aronne, per cercare di convincere il Faraone a lasciar partire il popolo di Israele, ma il Faraone, testardo, continuava a non voler ascoltare Mosè. Allora Mosè disse al Faraone: “Il Signore verrà durante la notte e farà morire ogni figlio primogenito degli Egiziani: così capirai che il Signore è potente e ci lascerai partire”. Il Faraone però non volle ascoltare Mosè nemmeno questa volta.
Il Signore disse a Mosè: “Dì ad ogni famiglia degli Israeliti di prendere un agnello e di ucciderlo al tramonto. Dovranno mettere un po’ del sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte. Poi cuoceranno l’agnello arrostendolo sul fuoco, e lo mangeranno. Quando verrò per uccidere ogni primogenito degli Egiziani, vedrò il sangue sulle porte delle case degli Ebrei e non entrerò in quelle case, così i figli degli Ebrei non moriranno. Poi il Faraone vi lascerà andare”. Mosè e Aronne spiegarono agli Israeliti quello che aveva detto il Signore, ed essi fecero come aveva ordinato. Questa fu per gli Ebrei la prima festa di Pasqua.

E il Signore venne, quella notte, e morirono tutti i figli primogeniti degli Egiziani e degli animali degli Egiziani, mentre ai figli degli Israeliti, che avevano messo il sangue sulle porte, non accadde nulla. Il Faraone chiamò Mosè  e gli disse: “Partite subito e andatevene dal paese”. E gli Israeliti partirono in tutta fretta. Così gli Ebrei, i discendenti di Giacobbe e dei suoi figli, uscirono dall’Egitto, dirigendosi verso Oriente, cioè verso la terra di Canaan, che era la terra che Dio aveva promesso ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe e ai loro discendenti. Ma il Faraone si pentì di aver lasciato andare via il popolo di Israele, perché così non avrebbe più lavorato per lui. Allora fece attaccare il suo carro da guerra, prese con sé dei soldati a cavallo, e partì per inseguire gli Ebrei. Li raggiunse quando erano arrivati sulla riva del Mar Rosso.
Gli Ebrei ebbero paura: non potevano scappare, perché avevano davanti il mare e dietro gli Egiziani. Ma Dio disse a Mosè: “Di’ al popolo di non avere paura, perché io sono il Signore e li salverò”. E Dio fece venire una grossa nube tra l’accampamento degli Ebrei e quello degli Egiziani, così che durante la notte gli Egiziani non poterono avvicinarsi. Disse anche a Mosè: “Stendi la mano sul mare”. Mosè stese la mano sul mare e Dio mandò un vento molto forte, che soffiò per tutta la notte, e al mattino il mare si era asciugato. Così gli Ebrei poterono attraversare il mare e fuggire dagli Egiziani.

Gli Egiziani videro che il mare si era asciugato: entrarono anche loro per inseguire gli Israeliti. Ma il Signore disse ancora a Mosè, dopo che tutti gli Ebrei avevano attraversato il mare: “Stenti la mano sul mare”. Mosè stese la mano, e il mare si richiuse sopra i soldati egiziani, che furono travolti dall’acqua e morirono. E gli Ebrei furono pieni di grande gioia, perché il Signore li aveva aiutati, e si misero a cantare e a danzare per ringraziare Dio.
Così gli Ebrei furono salvati e poterono continuare il loro viaggio.
Per arrivare alla terra di Canaan, gli Ebrei dovevano attraversare il deserto, dove c’è sempre poca acqua ed è difficile trovare da mangiare. Allora cominciarono a protestare, dicendo a Mosè: “Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto? Per farci morire di fame e di sete? Sarebbe stato meglio restare schiavi in Egitto, e lavorare per il Faraone. Là almeno avevamo da mangiare”.
Mosè fu addolorato perché non avevano capito che se il Signore li aveva liberati dall’Egitto, era perché voleva loro bene. Quindi avrebbero dovuto fidarsi del Signore. Mosè, però, pregò il Signore, e il Signore disse: “Ecco, farò piovere pane dal cielo e farò venire quaglie sopra l’accampamento, così che le possiate catturare e mangiare”. E alla sera vennero le quaglie sopra l’accampamento e gli Ebrei le catturarono con le reti, e mangiarono. Alla mattina dopo, quando si svegliarono, videro che per terra c’era qualcosa di granuloso e si domandavano: “Che cos’è?”. E Mosè disse: “E’ il pane che Dio ha mandato dal cielo”. Essi ne presero e ne mangiarono, e lo chiamarono manna. E ogni giorno, al mattino, per tutto il tempo del viaggio, trovavano così il pane da mangiare.


Dio dona i suoi Comandamenti

Il popolo di Israele, dopo essere uscito dall’Egitto, continuò il suo cammino nel deserto, verso la terra che Dio gli aveva promesso.
E giunse ai piedi di un monte, il monte Sinai. Questo era lo stesso posto dove Mosè aveva visto il cespuglio bruciare e aveva incontrato Dio, che gli aveva ordinato di andare in Egitto per liberare il suo popolo. In questo luogo Dio parlò ancora a Mosè e disse: “Parla al popolo di Israele, ai discendenti di Giacobbe così: “Voi avete visto tutti i segni che Dio ha fatto in Egitto per liberarvi dall’oppressione del Faraone.
E avete visto che mi sono preso cura di voi durante il viaggio nel deserto.
Adesso vi chiedo di mettere in pratica le mie parole. Se voi farete quello che io vi dirò, sarete il mio popolo, caro a me più degli altri popoli”. Mosè riferì agli Israeliti quello che aveva detto il Signore, e tutto il popolo disse: “Noi faremo quello che Dio ha detto”.
Allora Dio venne incontro al popolo, e scese sulla cima del monte. Il popolo D’Israele stava intorno al monte. Sulla cima si vedeva un fuoco con molto fumo, il monte tremava e si sentivano dei tuoni, perché Dio era sulla montagna. Gli Israeliti giù nell’accampamento avevano paura. Invece Mosè salì sulla cima, per parlare con Dio.

Dio allora parlò con Mosè sulla cima della montagna e gli spiegò come doveva comportarsi con il popolo. Diede a Mosè i Dieci Comandamenti, cioè delle leggi per vivere in armonia con Dio, con i fratelli e gli altri uomini. Questi comandamenti insegnano innanzitutto che bisogna pregare un solo Dio, e non tanti dèi come facevano a quel tempo gli altri popoli. Per questo il popolo di Israele non doveva comportarsi come gli altri popoli, che costruivano delle statue di animali, del sole, della lune, o altre cose e poi le adoravano come se quelle statue fossero delle divinità. Inoltre gli Israeliti non dovevano pensare che, per essere veri amici di Dio, bastasse invocarlo: bisogna anche fare quello che lui raccomanda per il nostro bene. Dio spiegò a Mosè che per ricordarsi di Dio, che aveva creato il mondo , gli esseri viventi e l’uomo, il popolo doveva fare festa ogni sette giorni, il sabato. In questo giorno nessuno doveva lavorare, ma doveva dedicare del tempo al Signore nella preghiera.
I figli, disse Dio, devono amare i propri genitori e, quando diventano grandi e i genitori diventano vecchi e si ammalano, devono ricordarsi di aiutarli con tutto l’affetto possibile.
Dio disse anche che non si deve uccidere, che marito e moglie devono sempre volersi bene tra di loro, che non si deve rubare e che non bisogna accusare ingiustamente le persone di qualcosa di male, oppure mentire, giurare il falso. Dio insegnò che non bisogna essere invidiosi delle altre persone, solo perché sono più ricche oppure perché possiedono più cose.

Dopo aver ascoltato Dio, Mosè scese dal monte e riferì al popolo d’Israele tutto quello che aveva detto. Tutti promisero di volersi impegnare a comportarsi come aveva insegnato il Signore. Allora Mosè scrisse tutte le cose che Dio gli aveva spiegato. Poi costruì un altare e vicino mise dodici pietre. Ogni pietra era un segno per indicare una tribù, cioè una parte del popolo d’Israele, che era formata da dodici tribù, una per ognuno dei dodici figli di Giacobbe. Quindi Mosè prese del sangue di vitelli e lo sparse sull’altare, che era il segno della presenza di Dio in mezzo al popolo, e sulle dodici pietre. Con questo gesto voleva indicare
che Dio e il popolo di Israele erano profondamente uniti, avevano la stessa vita, perché il sangue è il segno della vita. Mosè lesse ad alta voce, ancora una volta, gli insegnamenti di Dio che aveva scritto nel libro e tutti dissero solennemente: “Faremo tutto quello che il Signore ha detto”. Così Dio fece un’alleanza, cioè un patto di amicizia, con il popolo di Israele. Poi Dio chiamò ancora Mosè sul monte, per spiegargli altre cose, e Mosè salì. Prima di salir disse agli Ebrei: “Se ci sarà qualche problema mentre io sono sul monte, rivolgetevi a mio fratello Aronne”.
Mosè salì sul monte e vi rimase per quaranta giorni in preghiera e in ascolto del suo Dio, con il quale era entrato in amicizia.


Si fecero un vitello d’oro

Mosè era salito già da parecchi giorni sul monte, e il popolo di Israele si era stancato di aspettare che scendesse. La gente allora si rivolse ad Aronne, fratello di Mosè, e gli disse: “ Facci un dio che stia in mezzo a noi, perché di Mosè e del Dio che parla con lui non sappiamo più niente, è già molto tempo che è lontano da noi”.Aronne allora ordinò che gli fossero portati tutti gli oggetti d’oro, gli anelli, gli orecchini, i braccialetti e tutti i gioielli. Glieli portarono e Aronne li fece fondere. Con quell’oro fece la statua di un vitello che, a quel tempo, era considerato da molti popoli come il simbolo di Dio.
Il giorno dopo tutto il popolo offrì sacrifici e fece festa in onore del vitello, e dicevano: “Ecco il Dio di Israele, che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”.
Dio, che stava parlando a Mosè sul monte,
disse: “Scendi e và dal popolo, perché si sono già dimenticati di me, di tutto quello che ho fatto per loro e di tutto quello che avevano promesso di fare, obbedendo ai miei insegnamenti”.

Mosè scese dal monte, tenendo in mano due tavole di pietra su cui aveva scritto quello che il Signore gli aveva insegnato.
Quando arrivò all’accampamento e vide che tutti facevano festa intorno al vitello, si arrabbiò molto, ruppe le tavole che aveva in mano perché il popolo aveva rotto l’alleanza e l’amicizia con Dio.
Poi prese il vitello d’oro che avevano fatto, lo bruciò e lo fece a pezzi e disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato ma io ora salirò sul monte, dal Signore, e cercherò di farvi perdonare”. Tutti gli Israeliti compresero che avevano fatto una cosa grave, comportandosi male davanti a Dio e, come segno di penitenza, si tolsero di dosso i vestiti da festa e gli ornamenti che portavano. Mosè salì sul monte a parlare con Dio, e il Signore disse: “Questo popolo è troppo testardo: io non posso stargli vicino altrimenti dovrei sempre punirlo perché si comporta continuamente male”. Dio, infatti, che è santo e buono, non può stare vicino al male. “Perciò”, disse ancora Dio, “non starò più in mezzo a voi: andrete da soli nella Terra di Canaan”. Ma Mosè disse: “Come faremo ad arrivare alla Terra di Canaan se tu non sarai con noi? Come potrebbero tutti gli altri popoli sapere che tu sei il Signore Dio, che ama gli uomini, se abbandoni il tuo popolo? Se veramente ci hai voluto bene, salvandoci dalla schiavitù egiziana, non abbandonarci, perdona il tuo popolo”. E Dio disse: “Va bene, farò come tu chiedi: camminerò con il popolo, sarò con voi e vi proteggerò, però vi dovete impegnare a seguire i miei insegnamenti”.
Poi Dio ordinò a Mosè di scolpire di nuovo due tavole di pietra, con tutti gli insegnamenti che gli aveva dato, identiche alle prime che aveva rotto.
Così Dio rinnovò l’alleanza e l’amicizia con il popolo di Israele, che era stata rotta dall’infedeltà e dal peccato.
Mosè scese dal monte con le nuove tavole, e la pelle del suo viso era splendente, perché aveva passato molto tempo a parlare con Dio. Mosè non si era accorto di questa cosa, ma quando Aronne e il popolo d’Israele lo videro, ebbero paura, perché la pelle del suo viso era splendente. Mosè però li chiamò, essi si avvicinarono, e spiegò tutto quello che aveva detto il Signore. Poi, finito di parlare, si coprì il volto con un velo.
Gli Israeliti, mentre erano in viaggio nel deserto, vivevano in tende. Ogni sera si fermavano in un luogo diverso, montavano le tende per passarci la notte, poi al mattino le smontavano, le 
Caricavano sugli asini e ricominciavano il viaggio. Mosè aveva fatto costruire una tenda speciale nell’accampamento, la tenda del convegno, cioè la tenda dell’incontro con Dio.
Solo Mosè entrava in questa tenda e lì parlava con Dio.
Quando usciva, la pelle del suo viso era sempre luminosa. Mosè, subito dopo essere uscito dalla tenda, spiegava a tutto il popolo quello che Dio aveva detto, poi si copriva il volto con un velo, perché il suo viso era splendente. Egli era contento di parlare con il Signore e desiderava che anche il popolo imparasse ad amarlo e a conoscere il suo volere.
 
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