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02-10-2009
Pentateuco

LEVITICO


Il Signore chiamò Mosè, gli parlò della tenda del convegno e disse: “Parla agli Israeliti dicendo: “Quando uno di voi vorrà presentare come offerta in onore del Signore un animale scelto tra il bestiame domestico, offrirete un capo di bestiame grosso o minuto. Se la sua offerta è un olocausto di bestiame grosso, egli offrirà un maschio senza difetto; l’offrirà all’ingresso della tenda del convegno, perché sia accetto al Signore in suo favore. Poserà la mano sulla testa della vittima, che sarà accettata in suo favore per compiere il rito espiatorio per lui. Poi scannerà il giovenco davanti al Signore””.


“Siate santi perché il Signore è santo”

Il popolo di Israele era ancora accampato ai piedi del monte Sinai, dove Dio aveva parlato con Mosè e aveva stabilito la sua alleanza e la sua amicizia con il popolo. Dio continuò ad istruire Mosè, spiegando come Israele, che era diventato il popolo di Dio, doveva pregare e celebrare il culto. Il Signore spiegò anzitutto a Mosè come dovevano essere offerti i sacrifici. Aquel tempo, infatti, per esprimere l’obbedienza e l’amore per Dio gli si presentava quello che le persone avevano di più importante, cioè gli animali del gregge oppure i prodotti agricoli, i diversi frutti, la farina, il pane.
Queste erano le ricchezze principali degli uomini, il frutto del loro lavoro, indispensabili per la loro vita. Così Mosè, istruito da Dio, insegnò al popolo i diversi modi in cui si doveva offrire un sacrificio al Signore: si poteva, per esempio, offrire un olocausto, cioè portare un animale al sacerdote che lo uccideva e lo metteva sull’altare e poi lo bruciava. Bruciarlo significava che veniva donato interamente al Signore. Il fumo che saliva verso l’alto rappresentava il dono che l’uomo faceva a Dio, rinunciando al guadagno che gli avrebbe procurato quell’animale.
Mosè spiegò anche come si doveva offrire un sacrificio per ottenere dal Signore il perdono, se si fosse commesso un peccato, disobbedendo a Dio e tradendo la sua amicizia.

Dio parlò a Mosè anche dei sacerdoti, indicando che solo essi potevano avvicinarsi all’altare e al santuario. Questo perché l’altare e il santuario erano luoghi particolari,segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Dio però, è santo, cioè diverso dall’uomo, infinitamente più grande, e quindi gli uomini vicini al luogo della sua presenza dovevano anch’essi essere “santi”. Mosè allora consacrò suo fratello Aronne e i suoi figli affinché fossero sacerdoti. Per prima cosa Mosè vestì Aronne con alcuni indumenti nuovi e ornamenti particolari che indicavano il suo compito di sommo sacerdote, cioè di capo dei sacerdoti.
Poi Mosè versò un po’ d’olio d’oliva sul capo di Aronne: questo era un segno della sua consacrazione, cioè che Dio lo aveva scelto per un compito speciale.
Anche i figli di Aronne furono rivestiti con indumenti nuovi, senza però gli ornamenti particolari. Mosè offrì un ariete in sacrificio e con il suo sangue, simbolo della vita, asperse Aronne e i suoi figli, indicando così che essi entravano in una particolare comunione con Dio diventando sacerdoti. Tutti coloro che dovevano offrire un sacrificio a Dio si sarebbero presentati a uno dei sacerdoti, consegnandogli il dono, che il sacerdote avrebbe poi messo sull’altare e presentato a Dio secondo gli ordini che erano stati dati da Dio a Mosè.

Per poter svolgere il loro compito i sacerdoti dovevano mantenersi “santi”, cioè comportarsi sempre bene, obbedendo alle leggi di Dio. Scommettevano un qualche peccato o mancanza, dovevano offrire un sacrificio per poter ottenere il perdono di Dio prima di poter svolgere i loro compiti sacerdotali. Essi dovevano anche evitare tutte quelle cose che a quel tempo si ritenevano impure, cioè lontane da Dio e contrarie alla sua santità. Non potevano quindi mangiare alcuni animali, né toccare i loro cadaveri. Erano considerate impure alcune malattie della pelle, che venivano chiamate “lebbra”: chi le aveva non poteva avvicinarsi agli altri per non renderli impuri. Molte di queste leggi erano motivate anche da ciò che a quel tempo si riteneva utile per l’igiene e la salute.
Queste norme valevano in modo particolare per i sacerdoti, ma anche per tutto il popolo: Dio infatti aveva il suo santuario, la sua dimora, in mezzo alle tende di Israele. Tutto il popolo doveva cercare di evitare quei comportamenti che erano ritenuti contrari alla santità di Dio.


“Ama il prossimo come te stesso“

Dio continuò a dare istruzioni a Mosè, parlandogli di una festa detta “Giorno dell’Espiazione”, cioè del rito per chiedere il perdono dei peccati di tutto il popolo, che si doveva compiere una volta all’anno, in autunno. Questo era l’unico giorno in cui il capo dei sacerdoti, il sommo sacerdote, che a quel tempo era Aronne, poteva entrare nel Santo dei Santi, cioè la parte del santuario dove si trovava l’arca dell’alleanza nella quale erano custodite le tavole di pietra con i Dieci Comandamenti. Durante questo rito Aronne doveva porre le mani sopra un capro e confessare ad alta voce tutti i peccati del popolo di Israele. Poi il capro veniva mandato via, nel deserto, lontano dalle abitazioni della gente. Questo gesto significava che il popolo voleva allontanare da sé tutti i peccati. Dio accoglieva la loro supplica e li perdonava.

Oltre a spiegare tutti questi riti, Dio diede anche delle leggi e dei comandamenti che tutti dovevano osservare. L’intenzione di Dio era che il popolo di Israele fosse sempre attento a vivere in amicizia con lui. “Voi dovete essere santi”, diceva a Mosè, “perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Dio è “santo” perché è superiore agli uomini e alle cose del mondo, è molto più grande e più buono. Israele era stato scelto da Dio per essere il suo popolo e quindi doveva cercare di assomigliare a Dio e diventare “santo”.
Per questo Israele doveva comportarsi in modo diverso dagli altri popoli che non conoscevano il Signore, non credevano il lui e agivano quindi in modo sbagliato e cattivo.
Questi comandi e queste leggi erano quindi un segno del grande amore di Dio per il popolo di Israele. In questo modo, infatti, Dio dimostrava di voler conservare l’amicizia con il suo popolo. Uno dei comandi che Dio diede al popolo tramite Mosè era questo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Tra gli Israeliti non dovevano esserci ingiustizie, odi, inimicizie o vendette, ma amore e amicizia così come Dio li amava tutti ed era loro vicino.

Per evitare che tra il popolo si creassero delle ingiustizie e delle disuguaglianze troppo forti, Dio ordinò che ogni cinquant’anni si celebrasse un anno sacro, chiamato “giubileo”.
Durante questo anno, i poveri che erano stati costretti a vendere quello che possedevano, potevano riprendere i loro terreni e le loro cose.
Se qualcuno era stato costretto a lavorare come schiavo per pagare i suoi debiti, nell’anno del giubileo doveva essere liberato. In questo modo gli Israeliti dovevano ricordarsi che ogni cosa che possedevano era stata loro donata da Dio. Era stato il Signore, infatti, che li aveva liberati dalla terra d’Egitto, dove erano schiavi, per donare loro una terra nuova, dove abitavano liberi. Nessuno quindi, nel popolo di Israele, poteva essere privato per sempre della terra o della libertà di un altro Israelita, perché Dio aveva liberato tutti dall’Egitto e a tutti aveva donato la terra. Per questo ogni Israelita doveva goderne i frutti. Il Signore concluse le sue istruzioni impegnandosi ad assistere e a proteggere sempre il suo popolo, a benedire la terra in modo che il lavoro dell’uomo fosse prospero e non mancassero mai la pace e la tranquillità. Il popolo però doveva mantenersi fedele a Dio e non dimenticare mai di mettere in pratica tutto quello che egli aveva ordinato. Se avessero disobbedito, allontanandosi dal Signore, avrebbero perso la sua amicizia e la sua protezione e quindi anche la prosperità e la pace. Mosè riferì al popolo tutte le parole che aveva udito dal Signore.
 
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