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02-10-2009
Pentateuco

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Il Signore parlò a Mosè, nel deserto del Sinai, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dalla loro uscita dalla terra d’Egitto, e disse: “Fate il computo di tutta la comunità degli Israeliti, secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di tutti i maschi, testa per testa, dai vent’anni in su, quanti in Israele possono andare in guerra; tu e Aronne li censirete, schiera per schiera, sarà con voi un uomo per tribù, un uomo che sia capo del casato dei suoi padri”.


Il censimento e la partenza dal Sinai

Il popolo d’Israele si trovava già da tempo ai piedi del monte Sinai e aveva ascoltato da Mosè tutte le istruzioni del Signore. Dio parlò ancora a Mosè e gli ordinò di compiere il censimento del popolo di Israele. Mosè quindi, facendosi aiutare da dodici uomini, uno per ogni tribù d’Israele, radunò tutto il popolo. Ciascuno doveva dichiarare chi era, a quale famiglia e tribù apparteneva e chi erano i suoi antenati. Così Mosè potè calcolare il numero di tutti gli Israeliti.

Fare un censimento, a quel tempo, era utile soprattutto per sapere quante persone potevano partecipare alla guerra in caso di necessità: per questo si contavano solo i maschi, dai vent’anni in su. L’ordine di Dio, quindi, indicava che il popolo doveva prepararsi a combattere per poter entrare nella terra che gli era stata promessa. Per Mosè e il popolo d’Israele, però, fare il censimento significava anche ricordarsi che ciascuno di loro era membro del popolo che Dio si era scelto.
Infatti se Israele era un popolo prospero e numeroso, era perché Dio lo aveva protetto e aiutato e continuava a sostenerlo con la sua benedizione.
A ricordare a Israele che era un popolo consacrato a Dio era in modo particolare la presenza dei Leviti. Costoro, che erano gli uomini della tribù di Levi, non furono contati nel censimento insieme agli altri, ma a parte.
Il Signore spiegò, infatti, a Mosè che ogni primogenito avrebbe dovuto essere a lui consacrato, cioè riservato per il servizio nel santuario.
Questo perché Dio aveva liberato gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto nella notte in cui aveva fatto morire i primogeniti degli Egiziani, mentre ai primogeniti del suo popolo non era successo nulla. Dio decise, però, che, invece di prendere per il suo servizio nel santuario il primogenito di ogni famiglia, avrebbe preso al suo posto tutti i Leviti, che diventavano così sacerdoti al posto dei figli primogeniti. Il compito dei Leviti durante il viaggio nel deserto sarebbe stato quello di trasportare l’arca dell’alleanza (dove erano custodite le tavole di pietra su cui erano scritti gli insegnamenti di Dio), l’altare con tutti gli accessori che servivano per i sacrifici e la tenda del santuario.
Ogni tribù di Israele, poi, portò i doni per l’altare e il santuario: i capi delle tribù donarono tutto quello che serviva per la celebrazione del culto, per i sacrifici e per il ministero dei sacerdoti.
Ogni tribù portò la stessa quantità di oggetti preziosi e di animali, perché tutte le tribù erano uguali davanti al Signore e tutti sapevano che era molto importante ringraziare il Signore, ricordarsi di lui con la preghiera e i sacrifici. Le celebrazioni religiose nel santuario erano, infatti, il centro della vita del popolo di Israele.

Era ormai passato un anno da quando gli Ebrei erano scappati dall’Egitto e venne il momento di celebrare la Pasqua. Ai piedi del monte Sinai celebrarono questa festa ricordando che il Signore li aveva fatti uscire da un paese, l’Egitto, in cui erano stati schiavi. Dopo la celebrazione della festa, Dio diede a Mosè l’ordine di partire dal monte Sinai e di incamminarsi nel deserto per raggiungere la terra che egli aveva promesso di donare loro. Dio diede anche un segno della sua presenza in mezzo al popolo: di giorno si vedeva una nube sopra la tenda del santuario, di notte sopra la tenda si vedeva, invece, un fuoco. Quando la nube si alzava sopra la tenda, gli Ebrei si mettevano in marcia, seguendola; se invece rimaneva ferma sopra la tenda, anch’essi rimanevano accampati senza muoversi. Così tutti potevano comprendere che era Dio stesso che, mediante Mosè, stava guidando il suo popolo verso il loro nuovo paese.


Mosè invia gli esploratori a Canaan

Il popolo d’Israele marciava nel deserto, verso la terra promessa, dopo essere ripartito dai piedi del monte Sinai, dove aveva sostato per un anno intero. Quando giunsero vicini al paese di Canaan, Mosè mandò dodici uomini, uno per ogni tribù, a esplorare quella terra, per vedere come erano i suoi abitanti e i suoi prodotti. Gli esploratori andarono e tornarono dopo quaranta giorni portando dei frutti che avevano raccolto. Riferirono a Mosè e a tutto il popolo che il paese era molto fertile, ma anche che le popolazioni che lo abitavano erano molto forti. Il popolo fu impaurito: pensavano di non essere capaci di conquistare quella terra e non si fidarono della promessa che Dio aveva fatto di donarla a loro.
Per questo il Signore si adirò con il suo popolo, minacciando di punirlo severamente. Mosè, allora, pregò il Signore, chiedendo di perdonare il popolo, e il Signore, che non voleva venir meno alla sua promessa di condurre il popolo nella terra di Canaan, ascoltò la sua preghiera. Il Signore disse, però, a Mosè: “Gli uomini che non hanno voluto credere alla mia promessa non entreranno nella terra: saranno i loro discendenti a conquistare Canaan.
Il popolo d’Israele camminerà per quarant’anni nel deserto, finchè saranno morti tutti quelli che non hanno avuto fiducia in me “.
Il popolo d’Israele continuò, così, a marciare nel deserto. Un giorno alcune persone, guidate da Core, Datan e Abiram, si ribellarono contro Mosè e Aronne. Essi sostenevano che non era giusto che Mosè volesse comandare il popolo e che Aronne fosse il capo dei sacerdoti, pur essendo stata questa la scelta di Dio.
Mosè disse che sarebbe stato il Signore a giudicare chi aveva ragione fra lui e i ribelli. E avvenne un prodigio: la terra si aprì e un fuoco discese dal cielo, facendo morire Core, Datan e Abiram che si erano ribellati all’autorità di Mosè e alla volontà del Signore.
Continuando nel viaggio, gli Israeliti giunsero ad una località chiamata Kades. Qui Maria, la sorella di Mosè, morì e fu sepolta. Mentre erano vicino a Kades, gli Israeliti non riuscivano a trovare l’acqua da bere. Il popolo cominciò così a lamentarsi con Mosè e Aronne ed essi pregarono il Signore affinché aiutasse il popolo. Mosè, seguendo le istruzioni del Signore, fece radunare il popolo intorno ad una roccia, poi la percosse due volte con il bastone e dalla roccia uscì acqua per dissetare tutto il popolo. Anche Mosè e Aronne, però, come tutto il popolo, non avevano creduto alle promesse del Signore. Dio perciò disse loro che, a causa della loro poca fede, sarebbero morti prima di poter entrare nella terra promessa.

Il popolo giunse ai confini della terra degli Edomiti, il re di Edom, però, non concesse a Israele il permesso di attraversare la sua terra per giungere a Canaan, così essi dovettero fare un giro più lungo. Durante il viaggio gli Israeliti, nonostante avessero sperimentato più volte l’amore e la bontà di Dio, ripresero a lamentarsi contro Dio e contro Mosè dicendo: “Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire nel deserto?”. Vennero allora all’accampamento serpenti velenosi, che provocarono con i loro morsi la morte in mezzo agli Israeliti.
Il popolo allora comprese che aveva peccato lamentandosi contro il Signore e andarono da Mosè dicendo: “Intercedi presso il Signore in modo che allontani da noi questi serpenti”.
Mosè pregò il Signore e il Signore ordinò di costruire un serpente di bronzo e di metterlo su un’asta. Se qualcuno veniva morso da un serpente, doveva guardare il serpente di bronzo e così restava in vita. Il popolo giunse poi nel territorio degli Amorrei , che si trovava a est del fiume Giordano. Il re degli Amorrei e quello della regione vicina di Basan fecero guerra a IsIsraele, ma furono sconfitti e così gli Israeliti conquistarono la loro terra e vi si stabilirono.


L’asina del mago Balaam

Dopo le vittorie con alcuni re a est del Giordano, il popolo d’Israele giunse nella regione del re di Moab. Balak, re di Moab, vedendo che Israele era un popolo forte e numeroso, ebbe paura che potesse fargli guerra e distruggere il suo regno. Per questo andò a chiamare Balaam, un mago allora molto noto, per maledire il popolo di Israele. A quel tempo, infatti, si riteneva che se un mago malediceva delle persone, chiedendo agli dèi di far accadere loro delle disgrazie, queste sarebbero accadute realmente alle persone maledette. I messaggeri del re di Moab giunsero da Balaam , ma egli rispose che per decidere se acconsentire o no alla richiesta del re doveva consultare il Signore. Il Signore, però, disse a Balaam di non andare dal re di Moab.
Quando i messaggeri riferirono a Balk che il mago aveva rifiutato di venire, il re Moab inviò altri messaggeri, con numerosi doni, per convincere Balaam.
Ancora una volta Balaam interrogò il Signore, che rispose: “Se quegli uomini sono venuti a chiamarti, alzati, va’ con loro, ma farai ciò che io ti dirò”.

Balam partì, per andare dal re di Moab, cavalcando la sua asina. Dio inviò il suo angelo per sbarrare la strada a Balaam: Balaam non vide l’angelo, ma la sua asina si e lo evitò, deviando per i campi. Balaam, però, non comprendendo la ragione di questa deviazione, si infuriò con l’asina e la percosse, perché non obbediva ai suoi comandi. Così accadde per tre volte, finchè l’asina dovette fermarsi e Balaam la percosse con il bastone. Allora Dio fece parlare l’asina, che fece notarae a Balaam che lei era sempre stata docile e mansueta: ase si comportava in modo strano doveva pura esserci qualche ragione. Soltanto allora Balaam vide l’angelo, e comprese che il Signore non voleva che il suo popolo fosse maledetto. Balaam disse che era disposto a tornare indietro e a non andare dal re di Moab.
L’angelo però gli disse: “Va’ pure da Balak, ma ricordati di dire solo quello che io ti ordinerò”. Così, quando Balaam arrivò da Balak, il re di Moab lo portò su un monte, per fargli vedere tutto il popolo d’Israele e per maledirlo. Balaam fece costruire sette altari per offrire sacrifici al Signore e poter comprendere la sua volontà. Poi pronunciò solo le parole che il Signore gli mise in bocca : invece di maledire Israele lo benedisse. Balak si arrabbiò con Balaam e lo portò su un altro monte, per vedere se da lì fosse riuscito a maledire Israele. Ma ancora Balaam pronunciò solo benedizioni. Il re Balak fece un terzo tentativo, ma il mago continuava a proclamare parole di salvezza per Israele. Balak si rese conto che era inutile insistere e Balaam tornò a casa sua, dopo aver pronunciato ancora un quarto canto di benedizione per Israele.
Dopo questi fatti Mosè, sapendo che sarebbe morto prima di entrare nella terra promessa, nominò Giosuè come suo successore. Dopo la morte di Mosè sarebbe stato lui, Giosuè, a comandare Israele, guidando oltre il fiume Giordano nella conquista del paese di Canaan, obbedendo ai comandi e alle istruzioni del Signore.
Israele combattè anche contro i Madiani, un popolo che abitava anch’esso nella regione a est del fiume Giordano, e, con l’aiuto del Signore, li vinse. Allora due delle tribù di Israele, la tribù di Ruben e la tribù di Gad, chiesero a Mosè il permesso di stabilirsi nelle regioni che erano state conquistate a est del Giordano, invece di entrare con le altre tribù nella terra promessa che si trovava dall’altra parte del fiume.
Mosè acconsentì alla loro richiesta, a patto, però, che anche i membri di queste due tribù partecipassero, insieme a tutte le altre, alle battaglie per conquistare la terra promessa. Questo perché il Signore voleva che tutto il suo popolo fosse sempre fraternamente unito.
 
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