18-09-2010 |
agitarsi
Ci sono al mondo soltanto due classi di uomini:
quelli che hanno e quelli che guadagnano. I primi si coricano, gli altri
si agitano. Ieri parlavo di tre classi di persone definite dal Foscolo: i
pochi che comandano, i tanti che servono, i molti che brigano. Voglio
oggi continuare questa sorta di catalogazione con una nuova proposta. È
un altro poeta a suggerirla, il francese Alfred de Vigny, più o meno
contemporaneo di Foscolo. Nell'opera autobiografica Servitù e grandezza
militari sulla sua lunga esperienza di ufficiale, egli distingue tra i
pochi che nascono ricchi o che accumulano presto grandi fortune e i
tanti che devono arrabattarsi tutta la vita per guadagnare qualcosa e
sopravvivere.In modo più brillante un altro francese, Nicolas de
Chamfort, autore moralista del '700, distingueva tra «quelli che hanno
più pranzi che appetito e quelli che hanno più appetito che pranzi».
Vorrei fissare l'attenzione su quel verbo, «agitarsi». Ovvio che sia
giusto e doveroso impegnarsi per mantenersi e mantenere i propri
familiari. Ma talvolta questo «agitarsi» diventa uno «smaniare»: non si
ha mai tregua perché si vorrebbe sempre di più, perché si vorrebbe più
del vicino, perché si vorrebbe più del necessario. E alla fine non è
solo lo stress a colpirci ma la frenesia interiore a divorarci.
Risuonano, allora, le parole di Gesù a Marta: «Tu ti preoccupi e ti
agiti per troppe cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno» (Luca
10, 41-42).
(Mattutino, G.Ravasi)
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