18-09-2010 |
sottovoce
Porto negli occhi/ tre esili finestre/ sorelle del
silenzio/ nel grembo di un'abside,/ fessure dell'infinito:/ spiano nella
notte/ l'intenerirsi del cielo,/ sognano a occhi socchiusi/ il ritorno
del Signore.«Tornavamo dalla discoteca alle quattro di notte. Stanchi,
filavamo a velocità sostenuta per una strada deserta di campagna.
Tutt'intorno era buio; all'improvviso a lato vedemmo le vetrate della
chiesa di un convento che erano illuminate. Sembravano gli occhi della
notte». Sono, più o meno, le parole che un giovane ha usato tempo fa per
raccontarmi l'emozione di un giorno che per lui ha segnato una svolta e
che l'ha condotto su una via ben diversa. Certo è che la preghiera
nella notte, la veglia di una comunità, il bagliore di quelle finestre
sono un piccolo ma toccante segno di trascendenza, di infinito, di
mistero.È ciò che esprimono i versi che sono incastonati nel libro di un
parroco milanese che mi è amico, Angelo Casati. È, però, il titolo e il
tema di quel libro che stimola la mia riflessione, La fede sottovoce
(Paoline). Sì, oggi il parlare «sottovoce» è perdente, subissato com'è
dall'urlato della polemica, della chiacchiera, della pubblicità. E,
invece, il Signore al profeta Elia si presenta non nella folgore o nel
terremoto o nel vento, ma in «una voce di silenzio sottile» (1 Re 19,
12). Forse sono quelle «tre esili finestre/ sorelle del silenzio» a
svelarci il Dio della pace e dell'amore.
(Mattutino, G.Ravasi)
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"Chi mi parlerà sottovoce di Dio?"
Vorrei che le chiese fossero come albero.
L'albero non chiede agli uccelli
da dove vengono o dove vanno.
Dà ombra, cibo e poi li lascia volar via"
Ci sono persone nella mia vita a cui sono estremamente grato perché mi hanno «cambiato». Tra queste metto Arturo Paoli che avete ascoltato, come alcuni grandi testimoni che non ho conosciuto, ma di cui ho letto: Lorenzo Milani, Primo Mazzolari…
Però vi confesso che, accanto a queste persone che io ritengo «santi», ci sono due volti di santi piccoli. Sono due bambine. Una bambina l’ho incontrata a Lecco dove ero parroco nei giorni in cui il Cardinal Martini mi chiamava per venire a Milano. Questa bambina, di 12 anni, mi dice: “Don Angelo, e adesso chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Sono rimasto folgorato. “Chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Come dire: non servono le celebrazioni oceaniche, no; parlare sottovoce, invece, perché così si parla al cuore. Sottovoce, per parlare in fraternità di Dio. Questa cosa mi ha cambiato la pelle.
L’altra bambina è invece di Milano. Ero in confessionale, un pomeriggio, e arriva lei. IV elementare, quindi 8-9 anni. Mi guarda e mi dice: “Don Angelo, devo dirti una cosa, ma non so come”. “Non preoccuparti, non è necessario dire tutto”. “No, io voglio dirtela, però non so come dirtela”. “Non importa – gli ho detto – Dio legge nel nostro cuore, stai tranquilla”. “No, devo dirtela”. Allora ho cercato di aiutarla e gli ho detto: “Forse si tratta del papà e della mamma - sapevo che si erano divisi - e forse questa cosa ti fa un po’ soffrire?”. “No, no, non è questo. Don Angelo, mio papà è un gay e la Chiesa i gay non li vuole”. E c’era, vi assicuro, una piega di sofferenza in quegli occhi dolcissimi di bambina. L’ho guardata e gli ho detto: “Noi quest’anno – era l’anno del giubileo – abbiamo scelto come tema «guarire le ferite»”. E tra le ferite di cui avevo parlato in quella quaresima c’era anche questa: la ferita che noi diamo agli omosessuali. E lei mi guarda e mi dice: “Allora tu, Don Angelo, accogli mio papà?”.
Ecco l’insegnamento di una bambina. La richiesta di una Chiesa che accoglie, una porta che si apre a chiunque, che guarda il cuore e non le etichette. Una porta che chiunque può sospingere. E così vorrei che fosse una parrocchia: è sulla piazza e tu puoi spingere la porta ed entrare. Nessuno ti dice: “Ma chi sei? Da dove vieni? Fino a quando resti?”.
Nel logo della nostra parrocchia, c’è la scritta: “Come albero”. Forse potrebbe essere un’immagine rispecchiata anche qui a Romena.
Il Regno di Dio è come un albero, piccolo seme che germoglia, cresce, diventa albero e gli uccelli del cielo vengono e fanno nido e se ne vanno. Vorrei che le chiese fossero come un albero. L’albero non chiede agli uccelli da dove vieni o dove vai, quanto tempo resti. Dà ombra, dà cibo e poi sì, è bene che gli uccelli volino via. Non devono stare alla sua ombra…