20-09-2010 |
Essere o fare?
Gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare. Dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere. Così scriveva - con grande modernità, anticipando il famoso contrasto «essere e avere» elaborato dallo psicanalista e filosofo Erich Fromm - un teologo nato nel 1260 in Germania e morto ad Avignone attorno al 1327. Il suo nome era Johannes Eckhart ma è passato alla storia come Meister Eckhart, riconosciuto quindi come un "maestro". Nella sua Istruzione spirituale, da cui abbiamo tratto il pensiero, come in altre opere (di lui le edizioni Paoline hanno da poco edito i 104 Sermoni), egli ci conduce verso territori di frontiera, alcune volte minati o impervi. Siamo, infatti, tesi tra un agire fine a se stesso o motivato da interessi contingenti e una profonda trasformazione e maturazione interiore. La prima scelta è facile; la società contemporanea così frenetica ci spinge in quella direzione, tant'è vero che è facile sentire confessioni di questo tipo: «Non ho tempo per me stesso!». Se vogliamo riprendere a nostro uso il celebre verso dell'Amleto di Shakespeare, dobbiamo concludere che «essere o non essere, questo è il problema» (III, 1). L'alternativa all'"essere" è proprio questo "fare" senza posa, capace di ottunderci cervello e cuore, di distrarci da noi stessi. In uno dei drammi più famosi del norvegese Henrik Ibsen (1828-1906), Peer Gynt, si dichiara: «Qual è il primo dovere dell'uomo? La risposta è breve: essere se stesso». Meditiamo tutti su queste parole.
(Mattutino, G.Ravasi)
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