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briciola 12-12-2012 |
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12-12-2012 |
LA
BOCCA DI GESU'
1
Gesù,
pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato
dallo Spirito nel deserto, 2per
quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non
mangiò nulla
in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora
il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra
che diventi pane». 4Gesù
gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo». (Lc
4,1-4)
LA
NOSTRA BOCCA
19C'era
un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo,
e ogni giorno si dava
a lauti banchetti.
20Un
povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe,
21bramoso
di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i
cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un
giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto. (Lc 16,19-22)
SPUNTI BIBLICI
·
Gesù viene definito,
con un certo disprezzo, dagli ambienti spirituali più raffinati del
giudaismo, un ‘mangione e un beone'. Questo perchè va spesso a
tavola da chi lo invita: un matrimonio a Cana, nella casa di Matteo
Levi, di Zaccheo e di altri pubblicani. In questo si discosta dallo
stile penitenziale di Giovanni Battista e anche da alcuni ritualismi
rigidi dei giudei. Con questo stesso spirito si dimostra sensibile ai
bisogni corporei di coloro che lo ascoltano, tanto da compiere
miracoli di pani e pesci.
·
Eppure nell'episodio
delle tentazioni si dimostra capace di distacco dal cibo, pur in un
momento di legittima fame (quaranta gioni di digiuno!). Il distacco
dal cibo è motivato da un valor spirituale: il nutrimento che si ha
nell'ascolto della Parola di Dio (cfr Mt 4,4).
·
Il brano del ricco
epulone, che mangia con ‘lauti banchetti' e il povero Lazzaro
alla sua porta che muore di fame, sta ad indicare un attaccamento
morboso al cibo. Il ricco non si accorge del povero affamato, preso
solo dalla frenesia festaiola e godereccia. Non è quindi in
discussione il valore del cibo per il nutrimento della persona, ma
gli eccessi che sono ad essi collegato, in particolare la ricerca di
un piacere senza freni.
·
L'essere capaci di
donare il cibo anche a chi non l'ha sembra una conseguenza diretta
di quanto chiediamo a Dio nel Padre Nostro.
PRIMA LA CONDIVISIONE
Tonino
Lasconi commenta:
·
Non dire: "Dacci oggi
il nostro pane quotidiano" se nel cassetto hai quello avanzato
ieri, se nel cassetto hai già quello per domani.
·
Non dire: "Dacci oggi
il nostro pane quotidiano" se quello che hai losprechi senza
vergogna davanti agli occhi di coloro che non hanno il necessario per
vivere decorosamente
·
Non dire: "Dacci oggi
il nostro pane quotidiano" se pensi che sulla terra, che è di Dio,
pochi possano arraffare troppo, lasciando proppo poco a tanti altri.
·
Non dire: "Dacci oggi
il nostro pane quotidiano" se pensi che sulla terra, famiglia del
padre, possano esserci figli supernutriti e figliastri che soffrono
la fame.
·
Non dire: "Dacci oggi
il nostro pane quotidiano"se oggi, e ogni giorno, non sei disposto
a condividerlo.
Oggi
la sensibilità del condidere con i poveri si associa anche ad una
sensibilità ecologista che segue il principio di uno sviluppo
sostenibile. Vedremo dopo alcuni punti.
UN'ESPERIENZA POSITIVA
Se ci lasciamo invitare a tavola da
gesù scopriamo che il mangiare e il mangiare insieme è una grande
occasione positiva. Ha tavola ha svelato la sua potenza e il suo
amore per una famiglia. A tavola ha convertito pubblicani e
peccatori. A tavola ha lasciato il memoriale del suo sacrifico
salvifico. In poche parole la tavola è un momento propizio per
realizzare valori come il dialogo, l'unione familiare o amicale, la
confidenza, la preghiera e in fondo pregustare il banchetto eterno.
Uno stile positivo è quello
partecipativo: dalla preparazione, al servizio
LA TEMPERANZA
Davanti alla ricerca del piacere,
affinchè questa esperinza non si tramuti in un male, occorre vivere
una virtù: quella della temperanza.
CCC 1809 La temperanza è la
virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende capaci di
equilibrio nell'uso dei beni creati.
Ma la teologia spirituale da una
definizione più particolare: è esprimere con controllo, i propri
bisogni ed emozioni, secondo dei valori di riferimento.
Si tratta di il ‘saper gestire'
le proprie emozioni, "esprimendole con controllo", secondo una
certa forza di volontà.
Ma ciò
è possibile se siamo a contatto col nostro ‘io interiore' e
sappiamo ‘chiamare per nome' i nostri stati d'animo: bisogno
emozione e sentimenti. Si comincia quindi da qui, prima che da un
impegno di volontà (cfr le false diete!).
La
temperanza però non parla solo di rinuncie, ma anche scelte
valoriali. Non si rinuncia a qualcosa di bello senza tendere verso
qualcosa che crediamo essere più bello ancora. Gesù rinucia al cibo
terreno perchè ha un cibo più buono che è la Parola di Dio.
Quindi
nella temperanza deve entrare anche la coscienza dei valori, di ciò
che rende la nostra vita più bella, anche in prospettiva futura.
Allora il ‘controllo' e la ‘moderazione' diventano possibili
se hanno anche un ‘senso' in cui incanalare le energie psichiche.
C'è una meta bella e di valore a cui tendere giocandovi tutte le
nostre energie: a volte accettando frustrazioni (cioè facendo
rinuncie) e a volte cogliendo gratificazioni nuove (giusti piaceri).
Riassumendo:
la temeranza comincia con il dare un nome ai propri sentimenti,
quindi col ricordare il valore che si vuole vivere e quindi con
l'esprimersi in atteggiamenti pratici che però siano frutto di
un'integrazione tra il mio bisogno e il valore.
DECALOGO DEL MANGIARE 3 S:
SANO, SOBRIO, SOLIDALE
1)
PREPARA.
Prepara
tu in casa quello che puoi (pane, yogurt, pasta, conserve e
marmellate, ecc). Divertiti anche a cucinare, magari insieme ad
altri.
2)
RECUPERA
Recupara
gli avanzi (facendo polpette, frittate, pizze farcite, frizzaglio,
macedonia, ecc). Non sprecare;
3)
COLTIVA
Coltivare
un piccolo orto;
4)
FERMATEVI
Concedersi
una pausa pranzo adeguata. Mangiate insieme come segno di comunione;
5)
CONTROLLA
Scegliere
meglio il proprio punto vendita: meglio quelli ci offrono vendita
diretta e controllare sempre le etichette;
6)
CERCA
Cercare
i prodotti locali e di stagione per ridurre i costi di trasporto.
Preferire i prodotti sfusi (gli imballaggi costano il 30% del
prodotto);
7)
DONA
Partecipa
alla Colletta Alimentare o destina qualcosa anche ai poveri;
8)
RISCOPRI
Riscoprire
le ricette della nonna (usano prodotti facilmente rintracciabili e
sono ricette di qualità); cerca ciò che è più semplice e naturale
9)
MASTICA
Mangia
con calma, masticando bene. E' la prima digestione e gusti il
sapore;
10)
VARIA
Mangia
variando i cibi. Non troppo né troppo poco e ... ogni tanto digiuno
penitenziale!
PREGHIERA CONCLUSIVA
O Signore, dammi il pane quotidiano.
Il pane della speranza,
per dare speranza.
Il pane della gioia,
da poter spartire.
Il pane dell'intelligenza,
per varcare l'impossibile.
Il pane del sorriso,
da trasmettere agli altri.
Il pane della misericordia,
perché possa ricevere e dare
perdono.
Il pane del dolore,
da condividere.
Il pane della grazia,
per non attaccarmi al male.
Il pane della fraternità,
per diventare una cosa sola con
i miei fratelli.
Il pane del tempo,
per conoscerTI.
Il pane del silenzio,
per amarTi.
Amen
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Maggio 2024 |
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persona semplice ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare,
ricominciare.
La sobrietà è, in questo senso, la virtù del futuro, il nuovo nome della temperanza; è un bene
relazionale, una qualità della relazione: con se stessi (identità/sobrietà); con gli altri
(alterità/sobrietà); con le cose (consumo/estetica della sobrietà)
Coloro che hanno la giusta misura nelle decisioni e nel comportamento sono apprezzati e stimati per le qualità umane che esprimono. Anche nell’alimentazione serve equilibrio e saggezza.
Gli antichi filosofi e teologi affermavano – e non avevano torto – che i desideri (istinti, passioni) sono, per sé stessi, senza limite; il loro orizzonte è la dismisura. Occorreva, pertanto, regolarli, e affidavano tale compito alla virtù della temperanza (o della moderazione). La moderazione del cibo e della bevanda spettava, in particolare, alla virtù della "sobrietà", che indica la giusta misura: né troppo né troppo poco. Il suo rovescio, la "gola" (ingordigia), veniva collocato senza esitazione al quinto posto tra i sette vizi capitali.
La sobrietà è attraente, non è severa, come l’austerità; non è lassista come il consumismo; non è cattedratica, è discreta, sa farsi apprezzare. Purtroppo, e molto spesso, ci si accorge della sua bontà e importanza quando la si trasgredisce o si pensa di farne a meno.
Dove si trova oggi questa bella virtù? Certamente non nelle persone e nelle società dell’indigenza. Come si può parlare di sobrietà dove, per mancanza del necessario, si muore o si sopravvive per una breve stagione? Per motivi opposti, non si trova nelle società opulente dell’Occidente che si distinguono per lo spreco, l’eccesso.
La virtù della sobrietà è innovativa, addirittura rivoluzionaria: ogni volta che si compra un prodotto, si fa una scelta economica precisa, si favorisce un’impresa e non un’altra. E quando una medesima scelta è condivisa da un grande numero di persone, imprime una determinata direzione alla produzione e al mercato, che sono costretti ad adeguarsi.
In altre parole, con le molteplici scelte quotidiane si esprime consenso o dissenso nei confronti del sistema economico e, quindi, politico. Il consumo può diventare, così, lo strumento in mano ai cittadini per introdurre significative modifiche all’insostenibile situazione esistente.
di Luigi Lorenzetti
(direttore di "Rivista di Teologia morale")