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briciola 13-02-2013 PDF Stampa
13-02-2013
DIMISSIONI DEL PAPA / 2
Credo che questo momento ci chieda di essere veramente Chiesa, uniti nelle cose essenziali e gli uni per gli altri. Questo è un momento in cui lasciare da parte le legittime differenze o problematiche. Ora invochiamo lo Spirito che certamente non ci abbandona e fa grandi cose. Prepariamoci! Don Massimo
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Scritto da chicco di grano, 14 febbraio 2013, 16:33
In questo Tempo di Quaresima, nell’Anno della fede, rinnoviamo il nostro impegno nel cammino di conversione, per superare la tendenza di chiuderci in noi stessi e per fare, invece, spazio a Dio, guardando con i suoi occhi la realtà quotidiana. L’alternativa tra la chiusura nel nostro egoismo e l’apertura all’amore di Dio e degli altri, potremmo dire che corrisponde all’alternativa delle tentazioni di Gesù: alternativa, cioè, tra potere umano e amore della Croce, tra una redenzione vista nel solo benessere materiale e una redenzione come opera di Dio, cui diamo il primato nell’esistenza. Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.

(tratto dalla Catechesi di Benedetto XVI in occasione del Mercoledì delle Ceneri
Credere nella carità suscita carità«Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16)..)
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Scritto da una fedele, 14 febbraio 2013, 16:24
Il coraggio dell' innamorato.............
Con addosso l'umiltà dei gesti semplici. S'era presentato al mondo in punta di piedi e forse un po' spaesato, come un umile servitore nella vigna del Signore; con la stessa umiltà s'è addossato la responsabilità di uscire dalla scena del primato. Gli anni ne hanno snervato il fisico e messo a dura prova la salute, ma rimane pure traccia di quell'animo che – stando alle sue parole – faticava sempre più a reggere il peso e le sorte del destino ultimo della fede cristiana. In queste ore il mondo sarà tutto chino a scovare traccia di motivazioni seconde che hanno spinto quest'Uomo di Dio a dimettersi: eppure questo gesto di straordinario coraggio rimane forse una delle pagina più belle di un Papa nel cui cuore il bene della Chiesa è sempre venuto al primo posto.
Quel 19 aprile 2005 a colpirci fu lo sguardo anziano – e forse il piglio un po' severo – di un Papa diverso da Giovanni Paolo II. E mentre il mondo esagerava con i paragoni ingombranti, Benedetto XVI mostrava l'umile presenza della sua figura. Colpiva quel suo imbarazzo di fronte alle folle oceaniche, eppure ne accettò la sfida mantenendo sempre fermo il suo punto d'arrivo: l'incontro con Gesù di Nazareth. Spiegò in tutte le lingue del mondo che il Papa non è una rockstar, ma ne accettò il rischio per far incontrare il volto di Cristo all'uomo contemporaneo. Al pari di Giovanni Battista che, puntando il dito verso Cristo che passava, disse: “Ecco l'Agnello di Dio!” Un umile servitore capace dei gesti meno prevedibili: la ricerca spassionata dell'uomo fin dietro le sbarre di Rebibbia, l'inginocchiarsi per chiedere scusa laddove la Chiesa ha tradito l'Amore, il riconoscere in certi non credenti dal cuore agitato una passione per Cristo imbarazzante per i cristiani di routine, il sedersi accanto ai drammi della Chiesa condividendo il grido di tanti uomini: “questa non è la mia Chiesa”. E, per ultimo, il coraggio di mettersi in disparte quando la missione chiede sforzi che il fisico e lo spirito non riescono a reggere. Da fine teologo e profondo conoscitore delle leggi che regolano il mondo e il destino ultimo degli uomini, ha cercato di dare voce a quella che è rimasta la missione decisiva per la teologia: tradurre nell'oggi la Rivelazione di Dio, ovvero far nascere negli uomini la risposta a quella domanda che interroga da sempre il cuore della storia: “che cosa dice Dio alla mia storia?”. E' forse questo uno dei meriti splendidi del suo pontificato: testimoniare che Cristo non è un concetto del quale avvalersi ma è ancora oggi un incontro che cambia l'esistenza delle persone. Fino a far nascere la nostalgia di Lui nel cuore della storia odierna.
La sua origine tedesca ha favorito i detrattori, esaltando pure un'ironia della quale seppe dimostrarsi superiore. Ne diede risposta in quell'amabilità dello sguardo e dei gesti ch'è rimasta l'evoluzione più ardita dei suoi otto anni di pontificato. Quasi a voler raccomandare al mondo credente di parlare pure della Grazia ma di farlo con grazia, ovvero con quel rispetto tenero e inverecondo di chi sa che la Verità ultima non è un'idea da custodire in tasca ma una Persona da far incontrare. Per fare di una storia individuale una storia condivisa.
Celestino V passò alla storia come il Papa che fece il gran rifiuto. Non sappiamo come la storia di domani leggerà il pontificato di Benedetto XVI. Ciò che davvero conta, però, è il valore simbolico dei gesti. Quel simbolismo che tanto fece amare ai giovani Giovanni Paolo II, è oggi lo stesso simbolismo che fa di Benedetto XVI un maestro di responsabilità e di educazione. Perchè l'importante nella storia (della Chiesa) non è comandare bensì obbedire a quella voce della coscienza che ancor oggi supplica i credenti a non fare del cristianesimo un gioco in scatola. (don Marco Pozza)
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Scritto da ...,, 14 febbraio 2013, 16:08
lettera (2° parte)
Ho letto i tuoi scritti, mi sono nu­trito delle tue parole sempre profonde e stra­namente semplici per un professore di teolo­gia, perché fondate sul rapporto vero con Dio (quanto gelo nelle parole di alcuni pastori che capita di ascoltare…).

In questi anni in cui la fede è spesso messa alla prova, dileggiata, fraintesa, tu hai fatto da para­fulmine a molte critiche. Le hai prese tutte su di te. Non te ne importava niente di essere colpi­to. Sono beati quelli che vengono colpiti a cau­sa di Cristo e chissà quanta della sporcizia che c’è nella Chiesa è stata gettata su di te per il fat­to di essere quel padre di famiglia che è il Papa. Tu hai sempre dimostrato e chissà con quanto dolore, dal discorso di Ratisbona a quello sul matrimonio, che l’unico consenso che ti inte­ressa è quello di tuo Padre Dio, cioè della verità, del logos.

Per questo ho avuto paura quando hai annunciato la tua rinuncia. Sul momento mi è sembrato un tirarsi indietro. Se ti tiri indietro anche tu, che sei il Papa, che fine facciamo noi? Ho ripensato a una tua frase che mi porto nel cuore: «Fedeltà è il nome che ha l’amore nel tempo». Me la ricordo tutte le volte che il mio e l’altrui amore è messo alla prova e devo ag­grapparmi con tutte le forze all’Amore che muove tutti gli altri amori, oltre che il sole e le altre stelle. In questi anni la mia fede si è raffor­zata grazie a quel logos cortese, fermo e caldo che tu sai infondere alle parole che usi, come (tanto per fare un esempio) queste che ho let­to qualche giorno fa: «Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo e alla sua superbia. Dio è amo­re. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico sen­so di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno nell’autocompiacimento, bensì una li­berazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferen­za della Croce». Ripensando alla tua frase, leggendo queste pa­role, le tue ‘dimissioni’ mi sembravano in­comprensibili e mi hanno gettato nello sgo­mento.

Mi sono sentito solo. A che serve difen­dere la propria fede se poi anche il Papa si tira indietro. Poi a poco a poco l’emotività ha la­sciato lo spazio al logos appunto, alla verità, a Cristo, e una grande pace è tornata nel cuore. Dovevo andare oltre il codice di interpretazio­ne soggettivo, emotivo, mondano. Rinunciare rappresenta un fallimento per il mondo, è un gesto di debolezza per il mondo, nel quale si ‘è’ solo se ci si afferma, a ogni costo. La logica del­la debolezza non è del mondo. Del mondo è la logica del potere e dell’egoismo. Per questo il tuo gesto è un gesto di libertà dall’io e non di fu­ga da Dio, nel quale ti vuoi rifugiare del tutto per continuare a sostenere la Chiesa più e meglio.

Con questo gesto fai trionfare una logica diver­sa, un logos diverso. Quello di chi sa che la sua preghiera silenziosa vale tanto quanto la sua a­zione, e lascia quest’ultima a chi può meglio di lui portarla avanti. Doveva suonare allo stesso modo, fastidiosa e inspiegabile, la frase di Cri­sto ai suoi: «È bene che io me ne vada perché venga a voi un altro consolatore».

Anche Cristo sembra tirarsi indietro, ma così vince: lascia lo spazio alla potenza dello Spirito, non si lascia legare neanche dalla sua condizione umana, dà tutto, anche quella, si espropria di tutto se stesso, perché come tu hai spiegato nel tuo libro più bello ‘essere cristiani’ è ‘essere per’. Egli pone nelle mani dei suoi il compito di continuare le sue opere e afferma che ne faranno anche di più grandi delle sue. Ti ringrazio, caro Papa, per tutto il logos che ci hai donato e ci donerai sino al 28 febbraio, da Papa, ma anche per il logos che ci donerai dopo, nel silenzio che il mondo già chiama sconfitta, sotterfugio, fuga, e che è invece vittoria. Non mi sento più solo, perché ancora una volta mi hai aiutato a guardare all’unica cosa che conta, l’unica di cui c’è bisogno, il Logos stesso. Una sola cosa ti chiedo. Non dare le dimissioni dalla scrittura. Continua a nutrire la nostra fede con il tuo logos. Non farlo sarebbe dare le dimissioni da un talento e il Vangelo parla chiaro in merito…
Con affetto​, Alessandro d’Avenia
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Scritto da ...,, 14 febbraio 2013, 16:07
Lettera (1° parte)
Caro Papa, manca un accento all’ultima lettera di que­sto tuo nome, Papa, e verrebbe fuori un’altra pa­rola. La parola che ogni figlio pronuncia migliaia di volte nella vita e che un figlio di Dio ha la for­tuna di pronunciare molte più volte perché, al­la fine, la vita cristiana è imparare a dire abbà, papà, a Dio.Alla notizia della tua rinuncia ho avuto paura. Ho provato lo stesso dolore per la morte di Gio­vanni Paolo II: allora avevo 28 anni e mi sentii orfano, piansi come chi ha perso un padre.
Lunedì mi è successo lo stesso. Mi sono sentito orfano. Tu avevi deciso di non essere più Papa. Un altro padre mi veniva meno. È il dolore di un figlio che ha ricevuto moltissimo. Ho seguito il tuo pontificato sin dal momento in cui ti sei af­facciato per la prima volta dal balcone (abitavo a Roma allora).
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Scritto da ..., 14 febbraio 2013, 15:24
"Cari fratelli e sorelle,
come sapete - grazie per la vostra simpatia! - ho deciso di rinunciare al ministero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. Ringrazio tutti per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato. Grazie! Ho sentito quasi fisicamente in questi giorni, per me non facili, la forza della preghiera, che l’amore della Chiesa, la vostra preghiera, mi porta. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà."
Benedetto XVI, Udienza Generale del 13 febbraio 2013

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