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Giornata delle Comunicazioni Sociali 2014 |
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26-01-2014 |
Internet va accompagnato dall’incontro vero
Messaggio del Papa per Giornata delle Comunicazioni Sociali
Cari fratelli e sorelle,
oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri.
Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il
contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti
dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce
più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e
povertà; come pure di conflitti in cui si mescolano cause economiche,
politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.
In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi
gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della
famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una
vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a
conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci
dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci
e ad imparare gli uni dagli altri.
Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo
che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La
cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare,
ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo,
particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno
raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire
maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è
una cosa buona, è un dono di Dio.
Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera
la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette
un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni
espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile
chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle
nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi
politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere
o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale
può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino.
Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media
sociali, rischia di essere escluso.
Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media
sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva,
una conquista più umana che tecnologica. Dunque, che cosa ci aiuta
nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione
reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e
di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per
ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire
chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando
è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta.
Se siamo veramente desiderosi di ascoltare gli altri, allora impareremo a
guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana
come si manifesta nelle varie culture e tradizioni. Ma sapremo anche
meglio apprezzare i grandi valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio
la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la famiglia, la
distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di
solidarietà e sussidiarietà, e altri.
Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica
cultura dell’incontro? E per noi discepoli del Signore, che cosa
significa incontrare una persona secondo il Vangelo? Come è possibile,
nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli
uni agli altri? Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno
scriba, cioè un comunicatore, rivolse a Gesù: «E chi è mio prossimo?»
(Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini
di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la
“prossimità” nell’uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente
creato dalle tecnologie digitali?
Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una
parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il
buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo
che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la
prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma
della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa
quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace
definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.
Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o
alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione
violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e
abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola. In lui il
levita e il sacerdote non vedono un loro prossimo, ma un estraneo da cui
era meglio tenersi a distanza. A quel tempo, ciò che li condizionava
erano le regole della purità rituale. Oggi, noi corriamo il rischio che
alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro
prossimo reale.
Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere
connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro
vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo
bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono
le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità
della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno
dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza.
La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di
fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo
chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di
riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa
dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la
testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie
esistenziali.
Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una
Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la
prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è
raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono
anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e
donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il
messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At
1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente
digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita
essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e
uscire incontro a tutti.
Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti. Siamo
capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione
concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e
le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a
riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con
Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che
riesca a portare calore, ad accendere il cuore.
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi
religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso
la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro
domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del
senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVI). Pensiamo all’episodio dei
discepoli di Emmaus.
Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi,
per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il
Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci
dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione
alla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti
che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di
vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle
proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.
L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso
versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione
sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra
luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro
farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore,
con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente
digitale.
È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della
comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro
con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino
con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e
dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede
energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la
bellezza di Dio.
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