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Dalla Seconda Lettura di domenica 14 settembre |
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14-09-2014 |
Dalla
lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Abbiate
in
voi
gli
stessi
sentimenti
di
Cristo
Gesù:
6egli,
pur
essendo
nella
condizione
di
Dio,
non
ritenne
un
privilegio
l'essere
come
Dio,
7ma
svuotò
se
stesso
assumendo
una
condizione
di
servo,
diventando
simile
agli
uomini.
Dall'aspetto
riconosciuto
come
uomo,
8umiliò
se
stesso
facendosi
obbediente
fino
alla
morte
e
a
una
morte
di
croce.
9Per
questo
Dio
lo
esaltò
e
gli
donò
il
nome
che
è
al
di
sopra
di
ogni
nome,
10perché
nel
nome
di
Gesù
ogni
ginocchio
si
pieghi
nei
cieli,
sulla
terra
e
sotto
terra,
11e
ogni
lingua
proclami:
«Gesù
Cristo
è
Signore!,
a
gloria
di
Dio
Padre.
L'abbassamento
del Cristo (vv 6-8)
"Pur
essendo
nella
condizione
di
Dio".
Il
testo
greco
usa
il
termine
"morfé",
forma,
condizione.
Come
lo
possiamo
intendere?
In
due
modi:
- pur
essendo
Dio
si
è
fatto
uomo:
è
l'incarnazione
del
Figlio
di
Dio;
- pur
essendo Dio ha vissuto la condizione di servo, di schiavo: come Gesù
di Nazaret ha "gestito" la sua divinità, il suo potere, la sua
autorità e dignità. Pensiamo a quante volte Gesù si è di fatto
trovato ad un bivio su questo punto, tentato di imboccare la via
della gloria mondana, della sicurezza, dell'apparire, dalle
tentazioni fino sulla croce...
"Non
ritenne
un
privilegio".
Così
traduce
il
termine
greco
"arpagmon",
una
cosa
da
difendere
e
nascondere.
Venendo
nel
mondo,
Gesù
non
si
fa
forte
della
sua
divinità,
non
rivendica
i
suoi
diritti,
ma
imbocca
la
strade
del
dono,
del
servizio.
Non
vive
da
uomo
auto-centrato
sui
suoi
diritti
da
difendere,
ma
da
uomo
decentrato,
che
non
ha
nulla
da
difendere,
capace
di
svuotare
completamente
se
stesso,
e
per
questo
veramente
libero.
La
sua
libertà
non
è
per
lui
luogo
di
rivendicazione,
ma
possibilità
per
un
dono.
- Quali
sono i tesori gelosi che faccio fatica a lasciare? Quali meccanismi
di difesa scattano dentro di me?
"Svuotò
se
stesso".
Gesù
certamente
non
si
spoglia
della
natura
divina,
ma
di
quella
gloria
che
vuole
ricevere
solo
dal
Padre
(Gv
17,5);
rinuncia
in
modo
totale,
libero
e
volontario
a
tutto
ciò
che
il
suo
status
divino
comportava
e
assume
la
condizione
di
schiavo,
privo
di
ogni
autorità
e
dignità,
completamente
dedito
all'umile
servizio
degli
altri.
È
lo
svuotamento
del
seme
che
dà
tutto
alla
pianta
che
cresce,
lo
svuotamento
di
chi
è
ormai
libero
da
se
stesso,
da
tante
preoccupazioni
e
può
mettersi
a
completa
disposizione,
può
darsi
tutto,
può
dire:
"Questo
è
il
mio
corpo
che
è
per
voi".
- In
quanti
modi
posso
ripetere
ogni
giorno:
Questo
è
il
mio
corpo
che
è
per
voi?".
"...diventando
simile
agli
uomini..."
Qui
viene sottolineata la condivisione: venendo nel mondo, Gesù non ha
pensato subito a risolvere i problemi dall'alto, ma a condividerli.
Non
ha
solo
salvato
gli
uomini,
si
è
fatto
uomo;
non
ha
solo
parlato
di
amore,
di
famiglia...
è
stato
davvero
in
famiglia,
ha
avuto
degli
amici;
non
ha
solo
sfamato
gli
affamati,
ha
avuto
fame;
si
è
fatto
povero,
ha
avuto
paura,
ha
sofferto,
è
morto.
Si
è
davvero
compromesso
con
l'umanità,
si
è
sporcato
le
mani,
come
quando
lava
i
piedi
ai
suoi.
C'è
un
servizio
della
condivisione
quotidiana
con
le
persone
che
ci
sono
più
vicine.
- Dove
risuona più forte nelle mie giornate l'appello alla condivisione?
Cosa vuol dire per me il servizio del quotidiano?
È
divenuto
simile
agli
uomini,
in
un
processo,
in
una
educazione
progressiva
cui
ha
voluto
sottoporsi,
in
una
capacità
crescente
di
immergersi
nella
nostra
umanità
che
lo
ha
condotto
fino
alla
croce.
La
lettera
agli
Ebrei
parla
di
questa
educazione:
"pur
essendo
figlio,
ha
imparato
l'obbedienza
dalle
cose
che
patì..."
- Attraverso
quali tappe il Signore mi sta educando al dono di me stesso, alla
vera libertà interiore, alla condivisione, alla capacità di
soffrire con chi soffre, di gioire con chi gioisce?
...
Dall'aspetto
riconosciuto
come
uomo...
Si
sottolinea il realismo dell'incarnazione: Gesù non è solo
"simile" agli uomini; è veramente uomo. Ha lavorato, ha amato
con cuore d'uomo...
...Umiliò
se
stesso...
Questa
espressione viene usata nel N.T. in contrapposizione ai sentimenti di
vanità, ambizione e autoesaltazione (cfr Mt 18,4; 23,12; Lc 14,11;
18,14; 2Cor 11,7).
L'autoumiliazione
di
Gesù
consiste
dunque
nel
radicale
rifiuto
dell'ambizione
e
dell'orgoglio
e,
di
riflesso,
nell'adozione
di
quella
ferma
e
risoluta
mitezza,
aliena
da
qualsiasi
violenza,
che
è
stata
propria
del
servo
del
Signore
(Mt
11,29:
"prendete
il
mio
gioco
sopra
di
voi
e
imparate
da
me
che
sono
mite
ed
umile
di
cuore").
È
l'umile
grandezza
dell'uomo
delle
Beatitudini,
è
la
forte
debolezza
dell'amore.
...obbediente...
Atteggiamento
abituale,
costante
di
fedeltà
alla
volontà
di
Dio.
L'obbedienza,
è
arrivare
a
fare
quello
che
non
ti
sei
scelto,
non
ti
sei
cercato,
arrivare
a
dire:
"Non
la
mia,
ma
la
tua
volontà",
è
il
servizio
e
anche
la
libertà
più
grande:
non
fare
quello
che
mi
pare,
ma
scegliere,
amare
quello
che
ti
trovi
a
fare,
le
persone
con
cui
ti
trovi
a
stare.
...Fino
alla
morte...
In
senso
non
solo
temporale,
ma
anche
qualitativo:
"avendo
amato
i
suoi
che
erano
nel
mondo,
li
amò
sino
alla
fine"(Gv
13),
arrivò
fino
in
fondo.
... E
a
una
morte
di
croce...".
Per
i Filippesi, cittadini romani, questa ulteriore specificazione era
molto forte. Gesù si è privato anche di una morte dignitosa.
Il Cristo esaltato
(vv. 9-11)
Cambia
il soggetto e il tono.
"Per
questo...".
È
il
centro
dell'Inno.
La
domenica
di
Pasqua
non
è
solo
dopo
il
venerdì
santo,
una
bella
fine
di
una
brutta
storia,
e
tutti
vissero
felici
e
contenti;
è
piuttosto
la
conseguenza
del
venerdì
santo,
la
vittoria
dell'amore
che
si
dona:
quel
Gesù
che
si
è
fatto
servo
ora
viene
esaltato
non
nonostante
la
croce
ma
a
causa
di
essa.
Anche
per
questo,
per
sottolineare
l'unità
tra
il
Crocifisso
e
il
Risorto,
Gesù
appare
ai
suoi
col
segno
dei
chiodi
che
ora
sono
come
un
marchio
di
garanzia
delle
sue
scelte.
La
vittoria
pasquale
di
Gesù
è
anche
la
vittoria,
l'esaltazione
delle
sue
scelte:
è
lui,
l'uomo
delle
Beatitudini,
il
povero
in
spirito,
l'afflitto,
il
puro
di
cuore,
l'affamato
di
giustizia,
il
misericordioso,
colui
che
ha
perduto
la
sua
vita,
che
ha
vinto
ed
è
stato
esaltato
"per
questo".
- Attenzione
a
non
staccare
mai
la
croce
dalla
risurrezione,
a
non
vedere
l'una
senza
l'altra.
A
non
mettere
la
croce
tra
parentesi,
ma
anche
a
non
fare
del
dolorismo,
a
non
fermarci
al
venerdì
santo.
Anche
perché
la
croce
vale
non
in
se
stessa,
ma
per
l'amore
che
in
essa
si
esprime.
Il
cristiano
non
sceglie
il
dolore
per
il
dolore,
ma
l'amore,
un
amore
fedele
fino
in
fondo,
e
sa
che
per
questo
bisogna
essere
disposti
a
soffrire.
Dio
lo
ha
esaltato...
Il
verbo
esaltare
è
impiegato
anche
in
Gv
per
indicare
la
morte
gloriosa
di
Cristo
in
croce,
morte
che
implica
già
la
sua
esaltazione.
Questo
verbo
costituisce
anche
un
ulteriore
allusione
al
Servo
del
Signore
di
Is
52,13:
"Il
mio
servo
avrà
successo,
sarà
onorato,
esaltato
e
molto
innalzato".
È
Dio
che
esalta
Gesù,
non
Gesù
che
si
autoesalta,
che
cerca
se
stesso.
...egli
ha
dato
il
nome...
È
l'unico
passo
del
NT
dove
si
parla
di
un
atto
di
grazia
concesso
a
Cristo.
Per
l'iniziativa
gratuita
di
Dio,
Gesù
riceve
il
nome
e
la
dignità
di
Signore
(Mt
28,18:
"Mi
è
stato
dato
ogni
potere
in
cielo
e
in
terra"):
ciò
a
cui
aveva
liberamente
rinunciato
come
diritto
lo
ottiene
ora
come
dono
gratuito
e
tutto
il
cosmo
lo
confessa.
...
che
è
al
di
sopra
di
ogni
altro
nome,
perché
nel
nome
di
Gesù
ogni
ginocchio
si
pieghi
nei
cieli,
sulla
terra
e
sotto
terra
e
ogni
lingua
proclami
che
Gesù
Cristo
è
il
Signore...
Questa
adorazione
e
confessione
cosmica
di
Gesù
Signore,
che
si
estende
a
tutto
l'universo,
fa
capire
l'immensa
portata
del
suo
apparente
fallimento
sulla
croce
e
la
rilevanza
universale
che
assume
ogni
gesto,
ogni
vita
anche
nascosta
e
umile
che
si
incammina
sulla
sua
strada.
...a
gloria
di
Dio
Padre...
Questa
conclusione di tutto l'inno sottolinea che anche il Gesù esaltato
prolunga quell'atteggiamento di umiltà che lo ha portato a non
approfittare del suo essere uguale a Dio. Per i Filippesi, Gesù
Cristo Signore è modello di umiltà in tutte e due le parti
dell'Inno.
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