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Dal Vangelo di domenica 19 ottobre |
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20-10-2014 |
Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21)
La frase molto conosciuta non indica una divisione delle sfere di influenza tra Chiesa e stato, tra vita civile e religione. Piuttosto Gesù riconosce il valore dello stato e del suo ordinamento, ma lo relativizza. L’autorità può riscuotere le tasse, chiedere il rispetto dei doveri civici, ma non può mai pretendere il culto, né violare i diritti dell’uomo che porta l’immagine di Dio. La legge è da rispettare; ma quando va contro la vita, contro la famiglia, contro la giustizia, la legge è da contestare. A volte, anche pagando di persona, bisogna “obbedire a Dio invece che agli uomini”. (At 5,29)
Chi riscuote le tasse è funzionario di Dio.
È indubbio che Cristo, pur appartenendo sostanzialmente a una fascia debole della società, sia stato uno scrupoloso contribuente.
Paga le tasse per il tempio col discepolo Pietro (Matteo 17, 24-27); tra i suoi apostoli sceglie un funzionario delle imposte, Matteo-Levi, in una scena che Caravaggio ha reso indimenticabile nella tela di S. Luigi dei Francesi; ha invitato a versare senza scusanti il tributo imperiale, formulando quel principio lapidario del "rendere a Cesare quello che è di Cesare" (Matteo 22,21); esige la conversione e il risarcimento da parte dei corrotti, come avviene per l'alto funzionario Zaccheo (Luca 19,1-10).
A questo punto per il cristiano l'obbligo fiscale non è più riducibile a una mera questione legale, sanzionabile solo in sede civile e penale. È un impegno anche morale e di coscienza sul quale – bisogna riconoscerlo – la predicazione e la catechesi ecclesiale non si sono sprecate più di tanto. Al contrario di quanto ha fatto l'apostolo Paolo che in un importante paragrafo del suo capolavoro, la Lettera ai Romani (13,1-7), raccoglie con vigore il monito di Cristo: "Per questo dovete pagare i tributi: coloro che si dedicano a questo ufficio sono funzionari di Dio . Rendete, dunque, a ciascuno il dovuto: a chi il tributo, il tributo, a chi le tasse, le tasse".
Siamo attorno all'anno 58 e l'erario romano era quello di Nerone. Nello stesso brano l'Apostolo sottolinea che la questione non è semplicemente civile e legale, perché l'obbedienza all'autorità deve avvenire "non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza". C'è, quindi, una motivazione "pesante", legata alla morale e alla stessa fede cristiana, se è vero che i responsabili della gestione economica pubblica sono "funzionari di Dio".
Detto questo con fermezza contro la sfacciata schiera di evasori o elusori, talora cristiani praticanti, si devono subito denunciare – come facevano aspramente i profeti biblici (si legga il libretto di Amos!) – i gestori della cosa pubblica che sprecano risorse, se le accaparrano a fini privati, le amministrano in modo inetto, si lasciano corrompere spudoratamente. È da questa sorgente velenosa che cresce il vertiginoso livello della pressione fiscale, ingiustamente pesante proprio sugli onesti e sui deboli. Coloro che non pagano le tasse e coloro che sperperano il denaro pubblico sono entrambi immorali, e i primi devono finirla di accusare i secondi per giustificarsi. Entrambi devono ritornare a un'etica sociale e politica, nella consapevolezza che quanto compiono è una colpa morale oltre che un reato civile.
Preghiera per la società
Signore, dammi l’amore per il mio tempo, per la mia terra, per la mia gente.
Senza l’amore, la cittadinanza è solo diritti e doveri, la città solo un posto dove vivere,
le istituzioni solo un’autorità, la politica solo potere e compromesso,
la nazionalità solo una distinzione tra chi è dentro e chi è fuori,
il vicino una potenziale minaccia, il più debole solo zavorra, il lavoro solo soldi.
Aiutami a comprendere che davanti a te nessuno è senza permesso di soggiorno.
Tu, che riveli l’uomo all’uomo, trasforma lo straniero in fratello,
i confini in porte, le frontiere in abbraccio.
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