GIUBILEO DEGLI AMMALATI E DELLE PERSONE DISABILI
Tutti prima o poi siamo chiamati a confrontarci, talvolta a
scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui. E quanti
volti diversi assumono queste esperienze così tipicamente e
drammaticamente umane! In ogni caso, esse pongono in maniera più acuta e
pressante l'interrogativo sul senso dell'esistenza. Nel nostro animo
può subentrare anche un atteggiamento cinico, come se tutto si potesse
risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze. Altre volte,
all'opposto, si ripone tutta la fiducia nelle scoperte della scienza,
pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina
in grado di guarire la malattia. Purtroppo non è così, e anche se quella
medicina ci fosse, sarebbe accessibile a pochissime persone.
La natura umana, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite.
Conosciamo l'obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa
davanti a un'esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene
che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché
incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del
piacere e del divertimento. Nell'epoca in cui una certa cura del corpo è
divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto
deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei
privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio tenere queste
persone separate, in qualche "recinto" – magari dorato – o nelle
"riserve" del pietismo e dell'assistenzialismo, perché non intralcino il
ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che
è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico
insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive
l'uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla
disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta
anche l'accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa
migliore perché composto soltanto da persone apparentemente "perfette",
per non dire "truccate", ma quando crescono la solidarietà tra gli
esseri umani, l'accettazione reciproca e il rispetto. Come sono vere le
parole dell'apostolo: «Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha
scelto per confondere i forti» (1 Cor 1,27)!
Anche il Vangelo di questa domenica (Lc 7,36–8,3) presenta una
particolare situazione di debolezza. La donna peccatrice viene
giudicata ed emarginata, mentre Gesù la accoglie e la difende: «Ha molto
amato» (v. 47). E' questa la conclusione di Gesù, attento alla
sofferenza e al pianto di quella persona. La sua tenerezza è segno
dell'amore che Dio riserva per coloro che soffrono e sono esclusi. Non
esiste solo la sofferenza fisica; oggi, una delle patologie più
frequenti è anche quella che tocca lo spirito. E' una sofferenza che
coinvolge l'animo e lo rende triste perché privo di amore. La patologia
della tristezza. Quando si fa esperienza della delusione o del
tradimento nelle relazioni importanti, allora ci si scopre vulnerabili,
deboli e senza difese. La tentazione di rinchiudersi in sé stessi si fa
molto forte, e si rischia di perdere l'occasione della vita: amare nonostante tutto. Amare nonostante tutto!
La felicità che ognuno desidera, d'altronde, può esprimersi in tanti
modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. Questa è la
strada. E' sempre una questione di amore, non c'è un'altra strada. La
vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e
sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate! E
quanto amore può sgorgare da un cuore anche solo per un sorriso! La
terapia del sorriso. Allora la fragilità stessa può diventare conforto e
sostegno alla nostra solitudine. Gesù, nella sua passione, ci ha amato
sino alla fine (cfr Gv 13,1); sulla croce ha rivelato l'Amore che
si dona senza limiti. Che cosa potremmo rimproverare a Dio per le
nostre infermità e sofferenze che non sia già impresso sul volto del suo
Figlio crocifisso? Al suo dolore fisico si aggiungono la derisione,
l'emarginazione e il compatimento, mentre Egli risponde con la
misericordia che tutti accoglie e tutti perdona: «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5; 1 Pt
2,24). Gesù è il medico che guarisce con la medicina dell'amore, perché
prende su di sé la nostra sofferenza e la redime. Noi sappiamo che Dio
sa comprendere le nostre infermità, perché Lui stesso le ha provate in
prima persona (cfr Eb 4,15).
Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice
dell'amore che siamo disposti a offrire. Il modo in cui affrontiamo la
sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso
alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non
meritate. Non lasciamoci turbare, pertanto, da queste tribolazioni (cfr
1 Ts 3,3). Sappiamo che nella debolezza possiamo diventare forti (cfr 2 Cor
12,10), e ricevere la grazia di completare ciò che manca in noi delle
sofferenze di Cristo, a favore della Chiesa suo corpo (cfr Col
1,24); un corpo che, ad immagine di quello del Signore risorto, conserva
le piaghe, segno della dura lotta, ma sono piaghe trasfigurate per
sempre dall'amore. (papa Francesco al Giubileo dei disabili)
Tratto dall'OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro - Domenica, 12 giugno 2016
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