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Dal Vangelo di domenica 23 ottobre |
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21-10-2016 |
Dal
vangelo secondo Luca (18,9-14)
In
quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano
l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due
uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro
pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O
Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri,
ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due
volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo".
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare
gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi
pietà di me peccatore".
Io
vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua
giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece
si umilia sarà esaltato».
Comprendiamo
il vangelo
Il
Fariseo
Ma
insomma, questo "povero" fariseo non dice le cose come stanno?
Non è che si sta vantando per meriti che non ha: sale al tempio a
pregare come ogni pio ebreo, si sforza di osservare a puntino la
Legge, perfino fa di più: digiuna due
volte la settimana e offre al Tempio la decima parte non solo del
bestiame, del vino, del frumento e dell'olio, ma anche di tutto
quello che acquista. È vero, non vuole essere confuso con quelli che
snobbano i comandamenti di Dio: ma questo è precisamente quello che
gli permette la Legge, di essere "fariseo", cioè "separato"
dagli altri.
Qual
è allora il suo problema? Che dice solo "Io"; crede di pregare,
ma in realtà prega
tra sé, incensa se
stesso; comincia a ringraziare Dio a parole, ma finisce per vantarsi;
crede di essere lui a dare qualcosa a Dio, ridotto a semplice
registratore di cassa che deve solo prendere nota dei suoi meriti; si
confronta non con Dio e la sua grazia, ma con gli altri e i loro
peccati.
Che
differenza tra Maria che esulta per quello che Dio ha fatto in lei e
nel suo popolo e l'antimagnificat del fariseo che loda per quello
che lui ha fatto e disprezza gli altri.
Il
Pubblicano
Il
pubblicano invece sa di essere peccatore, distante da Dio e dalla sua
volontà (...fermatosi
a distanza...).
E non dice ‘Io' davanti a Dio; dice 'Tu': Abbi
pietà di me.
E
si batte il petto - come la folla e le donne che seguono Gesù
lungo la via Crucis (23,27) e poi se ne vanno dopo la sua
crocifissione (23,48: Tutte
le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto
era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto).
Fermandosi
a distanza, battendosi il petto, chiedendo pietà, il pubblicano dice
di Dio qualcosa di assolutamente originale: Tu sei santo, ma mi
accogli come sono; Tu mi ami gratis; Tu sei un Padre Misericordioso
che mi perdoni e mi salvi.
La
conclusione di Gesù
-
Questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro...
che non ha chiesto niente e non ottiene niente.
-
Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Come
la conclusione della parabola dei posti a tavola (14,11)... o il
Magnificat di Maria (Ha
disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha innalzato gli
umili...)
Il
volto di Gesù
La
parabola ci fa capire anche il volto del narratore, di Gesù stesso,
venuto a buttare giù i piedistalli e le autogiustificazioni e a
sollevare i caduti, a smascherare il peccato dei giusti e a donare la
salvezza ai peccatori.
Meditiamo
il vangelo
La
sindrome del fariseo
Ho
ritagliato il mio sgabello e mi sono posto sopra. Primo risultato: io
non mi confronto con Dio, ma con me stesso e per niente al mondo
scendo dal mio piedistallo. Secondo risultato: dal mio sgabello,
giudico gli altri e li disprezzo.
(M.Zattoni,
G.Gillini, Interno familiare C)
Un
modo elegante per proiettare sugli altri il proprio male è quello di
chi si ritiene scontatamente superiore agli altri, al punto da
disprezzarli o almeno da condannarli nel suo cuore. È
l'atteggiamento del fariseo...
Se
per caso sono anch'io di costoro, nei confronti dell'altro
scatterà in me una singolare mania di contrapposizione, la cui
funzione sarà esattamente quella di convincermi che sono davvero
migliore... Naturalmente starò bene attento a scegliermi persone che
non mi contestano questo facile confronto vincente, mi rivolgerò a
dei "pubblicani" (o che tali siano ai miei occhi): senza di loro,
non mi sentirei abbastanza positivo. (A.
Cencini)
-
Faccio
spesso confronti con gli altri; mi viene da dire o da pensare: "Io
non sono come loro"? Con quali "pubblicani" mi confronto?
La
preghiera del pubblicano
-
Abbi
pietà di me, peccatore!
Non c'è bisogno di essere dei disgraziati per pregare come il
pubblicano... Anzi spesso sono i santi ad aver più coscienza della
bontà, della grazia di Dio e della propria distanza da lui... Il
nostro Pier Damiani, ad esempio, si firmava "Pietro peccatore"!
Perché?
-
Quando
mi metto davvero davanti alla Croce di Gesù, alla sua Parola, al
suo disegno su di me, alla bontà del Padre, ai doni dello Spirito,
non faccio fatica a scoprire la mia distanza, la mia freddezza, la
mia poca corrispondenza... La preghiera mi aiuta a scendere dal
piedistallo e a scoprirmi peccatore e bisognoso di salvezza, come
gli altri?
-
Riesco
a pregare, anche di fronte al mio peccato? La tentazione può essere
quella di buttarsi ancora più giù, di allontanarsi ancora di più...
Tanto cosa vuoi che conti la mia preghiera, cosa vuoi che vada fare
al tempio, come potrà Dio ascoltare uno come me? Ma la Bibbia è
piena di preghiere di pubblicani e peccatori che non hanno perso la
loro fiducia...
-
I
miei esami di coscienza da dove partono: dal confronto con me
stesso, con gli altri o con Dio, col suo disegno, con la sua parola?
-
Ci
possiamo aiutare a fare l'esame di coscienza, a chiedere perdono a
Dio, a preparare l'atto penitenziale della Messa?
-
Abbiamo
mai scoperto una preghiera autentica, profonda, in "pubblicani",
in persone da cui non ce lo saremmo mai aspettato?
Preghiamo
il vangelo
-
Signore,
che a Pietro pentito hai offerto il tuo perdono,
abbi pietà di noi!
-
Signore,
che al buon ladrone hai promesso il Paradiso...
-
Signore,
che accogli ogni uomo che si affida alla tua misericordia...
-
Signore,
che perdoni molto a chi molto ama...
-
Signore,
che non sei venuto a condannare, ma a perdonare...
-
Signore,
che fai festa per ogni peccatore pentito...
-
Signore,
che sei venuto a cercare chi era perduto...
-
Signore
che conosci e comprendi la nostra debolezza...
-
Signore,
che ti sei umiliato fino alla morte e alla morte di Croce...
-
Signore,
che sulla croce hai invocato il perdono per i peccatori...
-
Signore,
che esalti gli umili e disperdi i superbi nei pensieri del loro
cuore
-
Liberaci
dai giudizi
-
Tienici
lontano dai confronti che avvelenano il cuore
Per
continuare a meditare
Ricordati
di me, te ne prego; guarda pietoso le ceneri di Pietro; con preghiere
e gemiti dì: Signore, perdonalo.
(dal testamento di S. Pier Damiani)
Entrambi
i protagonisti salgono al tempio per pregare, ma agiscono in modi
molto differenti, ottenendo risultati opposti. Il fariseo prega
«stando in piedi» (v. 11), e usa molte parole. La sua è, sì, una
preghiera di ringraziamento rivolta a Dio, ma in realtà è uno
sfoggio dei propri meriti, con senso di superiorità verso gli «altri
uomini», qualificati come «ladri, ingiusti, adulteri», come, ad
esempio, - e segnala quell'altro che era lì - «questo
pubblicano» (v. 11). Ma proprio qui è il problema: quel fariseo
prega Dio, ma in verità guarda a sé stesso. Prega se stesso! Invece
di avere davanti agli occhi il Signore, ha uno specchio. Pur
trovandosi nel tempio, non sente la necessità di prostrarsi dinanzi
alla maestà di Dio; sta in piedi, si sente sicuro, quasi fosse lui
il padrone del tempio! Egli elenca le buone opere compiute: è
irreprensibile, osservante della Legge oltre il dovuto, digiuna «due
volte alla settimana» e paga le "decime" di tutto quello che
possiede. Insomma, più che pregare, il fariseo si compiace della
propria osservanza dei precetti. Eppure il suo atteggiamento e le sue
parole sono lontani dal modo di agire e di parlare di Dio, il quale
ama tutti gli uomini e non disprezza i peccatori. Al contrario, quel
fariseo disprezza i peccatori, anche quando segnala l'altro che è
lì. Insomma, il fariseo, che si ritiene giusto, trascura il
comandamento più importante: l'amore per Dio e per il prossimo.
Non
basta dunque domandarci quanto
preghiamo, dobbiamo anche chiederci come
preghiamo, o meglio, com'è
il nostro cuore:
è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed
estirpare arroganza e ipocrisia. Ma, io domando: si può pregare con
arroganza? No. Si può pregare con ipocrisia? No. Soltanto, dobbiamo
pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. Non come il fariseo
che pregava con arroganza e ipocrisia. Siamo tutti presi dalla
frenesia del ritmo quotidiano, spesso in balìa di sensazioni,
frastornati, confusi. È necessario imparare a ritrovare il cammino
verso il nostro cuore, recuperare il valore dell'intimità e del
silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto a
partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli altri e parlare
con loro. Il fariseo si è incamminato verso il tempio, è sicuro di
sé, ma non si accorge di aver smarrito la strada del suo cuore.
Il
pubblicano invece - l'altro - si presenta nel tempio con animo
umile e pentito: «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli
occhi al cielo, ma si batteva il petto» (v. 13). La sua preghiera è
brevissima, non è così lunga come quella del fariseo: «O Dio, abbi
pietà di me peccatore». Niente di più. Bella preghiera! Infatti,
gli esattori delle tasse - detti appunto, "pubblicani" -
erano considerati persone impure, sottomesse ai dominatori stranieri,
erano malvisti dalla gente e in genere associati ai "peccatori".
La parabola insegna che si è giusti o peccatori non per la propria
appartenenza sociale, ma per il modo di rapportarsi con Dio e per il
modo di rapportarsi con i fratelli. I gesti di penitenza e le poche e
semplici parole del pubblicano testimoniano la sua consapevolezza
circa la sua misera condizione. La sua preghiera è essenziale.
Agisce da umile, sicuro solo di essere un peccatore bisognoso di
pietà. Se il fariseo non chiedeva nulla perché aveva già tutto, il
pubblicano può solo mendicare la misericordia di Dio. E questo è
bello: mendicare la misericordia di Dio! Presentandosi "a mani
vuote", con il cuore nudo e riconoscendosi peccatore, il pubblicano
mostra a tutti noi la condizione necessaria per ricevere il perdono
del Signore. Alla fine proprio lui, così disprezzato, diventa
un'icona del vero credente.
Gesù
conclude la parabola con una sentenza: «Io vi dico: questi - cioè
il pubblicano -, a differenza dell'altro, tornò a casa sua
giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece
si umilia sarà esaltato» (v. 14). Di questi due, chi è il
corrotto? Il fariseo. Il fariseo è proprio l'icona del corrotto
che fa finta di pregare, ma riesce soltanto a pavoneggiarsi davanti a
uno specchio. E' un corrotto e fa finta di pregare. Così, nella
vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza, è un
corrotto e un ipocrita. La superbia compromette ogni azione buona,
svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige
l'umiltà non è per avvilirci: l'umiltà è piuttosto condizione
necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la
misericordia che viene a colmare i nostri vuoti. Se la preghiera del
superbo non raggiunge il cuore di Dio, l'umiltà del misero lo
spalanca. Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a
un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore. E' questa umiltà
che la Vergine Maria esprime nel cantico del Magnificat:
«Ha guardato l'umiltà della sua serva. [...] di generazione in
generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc
1,48.50). Ci aiuti lei, la nostra Madre, a pregare con cuore umile. E
noi, ripetiamo per tre volte, quella bella preghiera: "O Dio, abbi
pietà di me peccatore".
(papa
Francesco, udienza 1.6.2016)
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