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Dal Vangelo di domenica 26 marzo |
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25-03-2017 |
In
quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi
discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi
genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha
peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate
le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha
mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può
agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il
fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella
piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si
lavò e tornò che ci vedeva.
Il
Vangelo ci presenta l'episodio dell'uomo cieco dalla nascita, al
quale Gesù dona la vista. Il lungo racconto si apre con un cieco che
comincia a vedere e si chiude - è curioso questo - con dei
presunti vedenti che continuano a rimanere ciechi nell'anima. Il
miracolo è narrato da Giovanni in appena due versetti, perché
l'evangelista vuole attirare l'attenzione non sul miracolo in sé,
ma su quello che succede dopo, sulle discussioni che suscita; anche
sulle chiacchiere, tante volte un'opera buona, un'opera di carità
suscita chiacchiere e discussioni, perché ci sono alcuni che non
vogliono vedere la verità. L'evangelista Giovanni vuol attirare
l'attenzione su questo che accade anche ai nostri giorni quando si
fa un'opera buona. Il cieco guarito viene prima interrogato dalla
folla stupita - hanno visto il miracolo e lo interrogano -, poi dai
dottori della legge; e questi interrogano anche i suoi genitori. Alla
fine il cieco guarito approda alla fede, e questa è la grazia più
grande che gli viene fatta da Gesù: non solo di vedere, ma di
conoscere Lui, vedere Lui come «la luce del mondo»
Mentre
il cieco si avvicina gradualmente alla luce, i dottori della legge al
contrario sprofondano sempre più nella loro cecità interiore.
Chiusi nella loro presunzione, credono di avere già la luce; per
questo non si aprono alla verità di Gesù. Essi fanno di tutto per
negare l'evidenza. Mettono in dubbio l'identità dell'uomo
guarito; poi negano l'azione di Dio nella guarigione, prendendo
come scusa che Dio non agisce di sabato; giungono persino a dubitare
che quell'uomo fosse nato cieco. La loro chiusura alla luce diventa
aggressiva e sfocia nell'espulsione dal tempio dell'uomo guarito.
Il
cammino del cieco invece è un percorso a tappe, che parte dalla
conoscenza del nome di Gesù. Non conosce altro di Lui; infatti dice:
«L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato
sugli occhi». A seguito delle incalzanti domande dei dottori della
legge, lo considera dapprima un profeta e poi un uomo vicino a Dio.
Dopo che è stato allontanato dal tempio, escluso dalla società,
Gesù lo trova di nuovo e gli "apre gli occhi" per la seconda
volta, rivelandogli la propria identità: «Io sono il Messia», così
gli dice. A questo punto colui che era stato cieco esclama: «Credo,
Signore!», e si prostra davanti a Gesù. Questo è un brano del
Vangelo che fa vedere il dramma della cecità interiore di tanta
gente, anche la nostra perché noi alcune volte abbiamo momenti di
cecità interiore.
La
nostra vita a volte è simile a quella del cieco che si è aperto
alla luce, che si è aperto a Dio, che si è aperto alla sua grazia.
A volte purtroppo è un po' come quella dei dottori della legge:
dall'alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il
Signore! Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per
portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che
non sono cristiani; tutti noi siamo cristiani, ma tutti noi, tutti,
alcune volte abbiamo comportamenti non cristiani, comportamenti che
sono peccati. Dobbiamo pentirci di questo, eliminare questi
comportamenti per camminare decisamente sulla via della santità.
Essa ha la sua origine nel Battesimo. Anche noi infatti siamo stati
"illuminati" da Cristo nel Battesimo, affinché, come ci ricorda
san Paolo, possiamo comportarci come «figli della luce», con
umiltà, pazienza, misericordia. Questi dottori della legge non
avevano né umiltà, né pazienza, né misericordia!
Domandiamoci
come è il nostro cuore? Ho un cuore aperto o un cuore chiuso? Aperto
o chiuso verso Dio? Aperto o chiuso verso il prossimo? Sempre abbiamo
in noi qualche chiusura nata dal peccato, dagli sbagli, dagli errori.
Non dobbiamo avere paura! Apriamoci alla luce del Signore, Lui ci
aspetta sempre per farci vedere meglio, per darci più luce, per
perdonarci. Non dimentichiamo questo! Alla Vergine Maria affidiamo il
cammino quaresimale, perché anche noi, come il cieco guarito, con la
grazia di Cristo possiamo "venire alla luce", andare più avanti
verso la luce e rinascere a una vita nuova.
Papa
Francesco, Angelus
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