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Dal Vangelo di domenica 17 settembre PDF Stampa
17-09-2017
Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21-22)

Perché dovremmo perdonare una persona che ci ha fatto del male? Perché noi per primi siamo stati perdonati, e infinitamente di più. Non c'è nessuno fra noi, qui, che non sia stato perdonato. Ognuno pensi... pensiamo in silenzio le cose brutte che abbiamo fatto e come il Signore ci ha perdonato. La parabola ci dice proprio questo: come Dio perdona noi, così anche noi dobbiamo perdonare chi ci fa del male. E' la carezza del perdono. Il cuore che perdona. Il cuore che perdona accarezza. Tanto lontano da quel gesto: "me la pagherai!" Il perdono è un'altra cosa. Precisamente come nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». I debiti sono i nostri peccati davanti a Dio, e i nostri debitori sono quelli a cui anche noi dobbiamo perdonare.

Ognuno di noi potrebbe essere quel servo della parabola che ha un grande debito da saldare, ma talmente grande che non potrebbe mai farcela. Anche noi, quando nel confessionale ci mettiamo in ginocchio davanti al sacerdote, non facciamo altro che ripetere lo stesso gesto del servo. Diciamo: "Signore, abbi pazienza con me". Voi avete pensato alcune volte alla pazienza di Dio? Ha tanta pazienza. Sappiamo bene, infatti, che siamo pieni di difetti e ricadiamo spesso negli stessi peccati. Eppure, Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo. E' un perdono pieno, totale, con il quale ci dà certezza che, nonostante possiamo ricadere negli stessi peccati, Lui ha pietà di noi e non smette di amarci. Come il padrone della parabola, Dio si impietosisce, cioè prova un sentimento di pietà unito alla tenerezza: è un'espressione per indicare la sua misericordia nei nostri confronti. Il nostro Padre, infatti, si impietosisce sempre quando siamo pentiti, e ci rimanda a casa con il cuore tranquillo e sereno dicendoci che ci ha condonato ogni cosa e perdonato tutto. Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell'intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato.
Il problema, purtroppo, nasce quando noi ci troviamo a confrontarci con un nostro fratello che ci ha fatto un piccolo torto. La reazione che abbiamo ascoltato nella parabola è molto espressiva: «Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!"». In questa scena troviamo tutto il dramma dei nostri rapporti umani. Quando siamo noi in debito con gli altri, pretendiamo la misericordia; quando invece siamo in credito, invochiamo la giustizia! E tutti facciamo così, tutti. Non è questa la reazione del discepolo di Cristo e non può essere questo lo stile di vita dei cristiani. Gesù ci insegna a perdonare, e a farlo senza limiti: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». Insomma, quello che ci propone è l'amore del Padre, non la nostra pretesa di giustizia. Fermarsi a questa, infatti, non ci farebbe riconoscere come discepoli di Cristo, che hanno ottenuto misericordia ai piedi della Croce solo in forza dell'amore del Figlio di Dio. Non dimentichiamo, dunque, le parole severe con le quali si chiude la parabola: «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

... Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace.

(papa Francesco alla Porziuncola di S.Maria degli Angeli ad Assisi)
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