Il
regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba
per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
(Mt
20,1)
Un
padrone esce all'alba in cerca di lavoratori, e lo farà per ben
cinque volte, fino quasi al tramonto, pressato da un motivo che non è
il lavoro, tantomeno la sua incapacità di calcolare le braccia
necessarie. C'è dell'altro: Perché ve ne state qui tutto il giorno
senza fare niente? Il padrone si interessa e si prende cura di quegli
uomini, più ancora che della sua vigna. Qui seduti, senza far
niente: il lavoro è la dignità dell'uomo. Un Signore che si leva
contro la cultura dello scarto!
E
poi, il cuore della parabola: il momento della paga. Primo gesto
contromano: cominciare dagli ultimi, che hanno lavorato un'ora
soltanto. Secondo gesto contro logica: pagare un'ora soltanto di
lavoro quanto una giornata di dodici ore.
Mi
commuove il Dio presentato da Gesù: un Dio che con quel denaro, che
giunge insperato e benedetto a quattro quinti dei lavoratori, vuole
dare ad ognuno quello che è necessario a mantenere la famiglia quel
giorno, il pane quotidiano.
Il
nostro Dio è differente, non è un padrone che fa di conto e dà a
ciascuno il suo, ma un signore che dà a ciascuno il meglio, che
estende a tutti il miglior dei contratti.
Un Dio la cui prima legge è
che l'uomo viva. Non è ingiusto verso i primi, è generoso verso gli
ultimi. Dio non paga, dona.
È
il Dio della bontà senza perché, che trasgredisce tutte le regole
dell'economia, che sa ancora saziarci di sorprese, che ama in
perdita. Anzi la nostra più bella speranza è un Dio che non sa far
di conto: per lui i due spiccioli della vedova valgono più delle
ricche offerte dei ricchi; per quelli come lui c'è più gioia nel
dare che nel ricevere.
E
crea una vertigine dentro il nostro modo mercantile di concepire la
vita: mette l'uomo prima del mercato, il mio bisogno prima dei miei
meriti.
Quale
vantaggio c'è, allora, a essere operai della prima ora? Solo un
supplemento di fatica? Il vantaggio è quello di aver dato di più
alla vita, di aver fatto fruttificare di più la terra, di aver reso
più bella la vigna del mondo.
Ti
dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace che Tu sia
buono, perché sono io l'ultimo bracciante. Non mi dispiace, perché
so che verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto
tardi.
Io
non ho bisogno di una paga, ma di grandi vigne da coltivare, grandi
campi da seminare, e della promessa che una goccia di luce è
nascosta anche nel cuore vivo del mio ultimo minuto. (Ermes Ronchi)
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