Il morire è il luogo nel quale
l'essere umano è a contatto con i limiti della propria esistenza:
sperimenta la fragilità e il bisogno di affidarsi all'altro,
compreso quell'Altro per eccellenza che è il Signore stesso.
Questa situazione richiede prossimità di cura e di affetti; fa
emergere l'importanza delle cure palliative con cui migliorare la
qualità di vita dei pazienti inguaribili, rendendo più
"sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia" e
assicurando "al paziente un adeguato accompagnamento umano"
(Evangelium
vitae
65). Nel contempo,
porta a rifiutare terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del
paziente e alle sue prospettive di miglioramento. Con questo non si
tratta certo di rinunciare a quei gesti essenziali come sono il
nutrire, l'idratare, il curare l'igiene della persona. Come Cei
ci sta a cuore anche che venga riconosciuta - oltre alla
possibilità di obiezione di coscienza del singolo medico - quella
che riguarda le nostre strutture sanitarie.
Card Gualtiero Bassetti,
presidente Conferenza Episcopale Italiana
Monsignor
Vincenzo Paglia, presidente
della Pontificia Accademia per la vita,
non ha mai citato la norma approvata in Senato nel suo intervento su
"Il valore di offrire Cure Palliative nella società di oggi"
ma ha sostenuto l'ammissibilità «dell'astensione dalle terapie,
quando queste non siano più adeguate da un punto di vista
dell'indicazione medica», ma ha sottolineato che «ciò
però non deve essere
confuso con forme di eutanasia omissiva».
E
ha ribadito con forza che «soprattutto, anche qualora le terapie
attive si rivelassero oramai inefficaci o sproporzionate, si
dovrà comunque sempre continuare a prendersi cura del malato,
attraverso l'adeguata
palliazione dei sintomi e l'attenzione alla sua persona e a i suoi
bisogni attraverso la cura della nutrizione, dell'idratazione e
dell'igiene». Insomma,
il malato «deve restare
vivo fino alla morte, e non morire socialmente prima che
biologicamente». E «di
fronte alle derive eutanasiche di oggi», la Chiesa «spinge a
continuare ad aiutare il malato nel momento in cui la morte si
approssima. Insomma, una
cosa è aiutare a morire e altra cosa farlo morire. La vera dignità
è quella che prova la persona fragile, malata, quando viene curata
con delicatezza, tatto e accompagnata con affetto e generosa
attenzione».
Rivolto
ai medici partecipanti all'incontro Paglia ha detto: «Voi
palliativisti, siete i Buoni Samaritani che si chinano sull`altro nel
momento più difficile della vita e quando la fragilità della
condizione umana è più pronunciata». È necessaria una scienza
medica che "non fallisca nel prendersi cura del malato"
dunque attenta "alla dimensione esistenziale che si manifesta
nel bisogno di relazioni umane concrete, di accompagnamento, di
significato della vita, di senso della sofferenza e della stessa
morte che si avvicina".
Mons.
Vincenzo Paglia, presidente Pontificia accademia per la Vita
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