Portarono
il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi
salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri
invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e
quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre
Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». (Mc 11,7-10)
Dopo
la guarigione del cieco di Gerico, accompagnata da quella invocazione
«Figlio di Davide», un fremito di speranza messianico attraversa la
folla facendo sorgere in molti una domanda: quel Gesù, che camminava
davanti a loro verso Gerusalemme, era forse il Messia, il nuovo
Davide? E con il suo ingresso ormai imminente nella città santa, era
forse giunto il tempo in cui Dio avrebbe finalmente restaurato il
regno davidico?
Anche
la preparazione dell'ingresso, che Gesù fa insieme ai suoi
discepoli, contribuisce ad aumentare questa speranza. Come abbiamo
ascoltato nel Vangelo odierno, Gesù arriva a Gerusalemme da Betfage
e dal Monte degli ulivi, cioè dalla strada su cui avrebbe dovuto
venire il Messia. Da lì, Egli manda avanti due discepoli, comandando
loro di portargli un puledro di asino, che avrebbero trovato lungo la
via. Essi trovano effettivamente l'asinello, lo slegano e lo
conducono a Gesù. A questo punto, gli animi dei discepoli e anche
degli altri pellegrini sono presi dall'entusiasmo: prendono i loro
mantelli e li mettono sul puledro; altri li stendono sulla strada
davanti a Gesù, che avanza in groppa all'asino. Poi tagliano rami
dagli alberi e cominciano a gridare parole del Salmo 118, antiche
parole di benedizione dei pellegrini che diventano, in quel contesto,
una proclamazione messianica: «Osanna! Benedetto colui che viene nel
nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre
Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». Questa acclamazione
festosa, trasmessa da tutti e quattro gli Evangelisti, è un grido di
benedizione, un inno di esultanza: esprime l'unanime convinzione
che, in Gesù, Dio ha visitato il suo popolo e che il Messia
desiderato finalmente è giunto. E tutti sono lì, con la crescente
attesa per l'opera che il Cristo compirà una volta entrato nella
sua città.
Che
cosa c'è realmente nel cuore di quanti acclamano Cristo come Re
d'Israele? Certamente avevano una loro idea del Messia, un'idea
di come dovesse agire il Re promesso dai profeti e a lungo aspettato.
Non è un caso che, pochi giorni dopo, la folla di Gerusalemme,
invece di acclamare Gesù, griderà a Pilato: «Crocifiggilo»! E gli
stessi discepoli, come pure altri che lo avevano visto e ascoltato,
rimarranno ammutoliti e smarriti. La maggior parte, infatti, era
rimasta delusa dal modo in cui Gesù aveva deciso di presentarsi come
Messia e Re di Israele. Proprio qui sta il nodo della festa di oggi,
anche per noi. Chi è per noi Gesù di Nazaret? Che idea abbiamo del
Messia, che idea abbiamo di Dio? È una questione cruciale, questa,
che non possiamo eludere, tanto più che proprio in questa settimana
siamo chiamati a seguire il nostro Re che sceglie come trono la
croce; siamo chiamati a seguire un Messia che non ci assicura una
facile felicità terrena, ma la felicità del cielo, la beatitudine
di Dio. Dobbiamo allora chiederci: quali sono le nostre vere attese?
quali i desideri più profondi, con cui siamo venuti qui oggi a
celebrare la Domenica delle Palme e ad iniziare la Settimana Santa?
Cari
fratelli e sorelle, siano in particolare due i sentimenti di questi
giorni: la lode, come hanno fatto coloro che hanno accolto Gesù a
Gerusalemme con i loro «osanna»; ed il ringraziamento, perché in
questa Settimana Santa il Signore Gesù rinnoverà il dono più
grande che si possa immaginare: ci donerà la sua vita, il suo corpo
e il suo sangue, il suo amore. Ma a un dono così grande dobbiamo
rispondere in modo adeguato, ossia con il dono di noi stessi, del
nostro tempo, della nostra preghiera, del nostro stare in comunione
profonda d'amore con Cristo che soffre, muore e risorge per noi.
Gli antichi Padri della Chiesa hanno visto un simbolo di tutto ciò
nel gesto della gente che seguiva Gesù nel suo ingresso in
Gerusalemme, il gesto di stendere i mantelli davanti al Signore.
Davanti a Cristo - dicevano i Padri - dobbiamo stendere la nostra
vita, le nostre persone, in atteggiamento di gratitudine e di
adorazione: «Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi
stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde
che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a
perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi
rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso ... e
prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese ... per poter offrire
al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei
di vittoria. Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni
giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: "Benedetto
colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele"» (PG
97, 994).
Amen!
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