Cari giovani...
Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Gv
20,1-8), Giovanni ci racconta quella mattina inimmaginabile che ha
cambiato per sempre la storia dell’umanità. Figuriamocela, quella
mattina: alle prime luci dell’alba del giorno dopo il sabato, attorno
alla tomba di Gesù tutti si mettono a correre. Maria di Magdala corre ad
avvisare i discepoli; Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro...
Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi: non c’è tempo da
perdere, bisogna affrettarsi... Come aveva fatto Maria – ricordate? –
appena concepito Gesù, per andare ad aiutare Elisabetta.
Abbiamo
tanti motivi per correre, spesso solo perché ci sono tante cose da fare e
il tempo non basta mai. A volte ci affrettiamo perché ci attira
qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si
corre per scappare da una minaccia, da un pericolo…
I discepoli di
Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è
sparito dalla tomba. I cuori di Maria di Magdala, di Simon Pietro, di
Giovanni sono pieni d’amore e battono all’impazzata dopo il distacco che
sembrava definitivo. Forse si riaccende in loro la speranza di rivedere
il volto del Signore! Come in quel primo giorno quando aveva promesso:
«Venite e vedrete» (Gv 1,39). Chi corre più forte è Giovanni,
certamente perché è più giovane, ma anche perché non ha smesso di
sperare dopo aver visto coi suoi occhi Gesù morire in croce; e anche
perché è stato vicino a Maria, e per questo è stato “contagiato” dalla
sua fede. Quando noi sentiamo che la fede viene meno o è tiepida,
andiamo da Lei, Maria, e Lei ci insegnerà, ci capirà, ci farà sentire la
fede.
Da quella mattina, cari giovani, la storia non è più la
stessa. Quella mattina ha cambiato la storia. L’ora in cui la morte
sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta.
Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto
resistere. E da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo
in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra,
miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può
ancora riaccendersi una speranza di vita.
Cari amici, vi siete
messi in cammino e siete venuti a questo appuntamento. E ora la mia
gioia è sentire che i vostri cuori battono d’amore per Gesù, come quelli
di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni. E poiché siete giovani,
io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come
Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce
dello Spirito che anima i vostri sogni. Per questo vi dico: non
accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila.
Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla
fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo
audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e
impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità:
rischiate, andate avanti!
Sarò felice di vedervi correre più forte
di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso, attratti da quel Volto
tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella
carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa
corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre
intuizioni, della vostra fede. Abbiamo bisogno! E quando arriverete dove
noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come
Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto. E un’altra cosa:
camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa
fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche
quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza
pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da
tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo,
il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza
dell’appartenenza al popolo di Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro,
nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai
identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da
solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.
Il Vangelo
dice che Pietro entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e
il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entrò anche l’altro
discepolo, il quale – dice il Vangelo – «vide e credette» (v. 8). È
molto importante questa coppia di verbi: vedere e credere. In tutto il
Vangelo di Giovanni si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù
compiva credettero in Lui. Vedere e credere. Di quali segni si tratta?
Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di alcuni malati guariti;
di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con
cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da
quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile
di Dio.
Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina,
quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità
umana che incontra la Grazia che risolleva. C’è l’umanità ferita che
viene risanata dall’incontro con Lui; c’è l’uomo caduto che trova una
mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che
scoprono una speranza di riscatto. E Giovanni, quando entra nel
sepolcro di Gesù, porta negli occhi e nel cuore quei segni compiuti da
Gesù immergendosi nel dramma umano per risollevarlo. Gesù Cristo, cari
giovani, non è un eroe immune dalla morte, ma Colui che la trasforma con
il dono della sua vita. E quel lenzuolo piegato con cura dice che non
ne avrà più bisogno: la morte non ha più potere su di Lui.
Cari
giovani, è possibile incontrare la Vita nei luoghi dove regna la morte?
Sì, è possibile. Verrebbe da rispondere di no, che è meglio stare alla
larga, allontanarsi. Eppure questa è la novità rivoluzionaria del
Vangelo: il sepolcro vuoto di Cristo diventa l’ultimo segno in cui
risplende la vittoria definitiva della Vita. E allora non abbiamo paura!
Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte.
Dio ci ha dato una potenza più grande di tutte le ingiustizie e le
fragilità della storia, più grande del nostro peccato: Gesù ha vinto la
morte dando la sua vita per noi. E ci manda ad annunciare ai nostri
fratelli che Lui è il Risorto, è il Signore, e ci dona il suo Spirito
per seminare con Lui il Regno di Dio. Quella mattina della domenica di
Pasqua è cambiata la storia: abbiamo coraggio!
Quanti sepolcri –
per così dire – oggi attendono la nostra visita! Quante persone ferite,
anche giovani, hanno sigillato la loro sofferenza “mettendoci – come si
dice – una pietra sopra”. Con la forza dello Spirito e la Parola di Gesù
possiamo spostare quei macigni e far entrare raggi di luce in quegli
anfratti di tenebre.
E’ stato bello e faticoso il cammino per
venire a Roma; pensate voi, quanta fatica, ma quanta bellezza! Ma
altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre
case, ai vostri paesi, alle vostre comunità. Percorretelo con la fiducia
e l’energia di Giovanni, il “discepolo amato”. Sì, il segreto è tutto
lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il
Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel
cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata.
Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama. Percorre con coraggio e con
gioia il cammino verso casa, percorretelo con la consapevolezza di
essere amati da Gesù. Allora, con questo amore, la vita diventa una
corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge.
Senza ansia e senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col
cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così!
|