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50 profughi lasciano i centri PDF Stampa
10-09-2018
Intervista al card. Bassetti: «Scelta imprudente. Ma sono persone libere»


Qual è stata la sua prima reazione?
Le dico la verità: appena sentita la notizia, per prima cosa sono passato in cappella per parlare con il Signore. Quando umanamente siamo impotenti di fronte a tante situazioni umane, c'è sempre la forza della preghiera che ci sostiene. Come diceva La Pira, la preghiera è più potente di una bomba atomica. E io ne sono convinto.

Che giudizio dà di quello che è successo?
Sono profondamente dispiaciuto per l'allontanamento di alcuni profughi da Rocca di Papa. So con quanto amore e premura erano stati accolti dalla Caritas, ci siamo veramente sentiti di fare per loro tutto ciò che facciamo per i nostri poveri. E ora temo per la loro sorte: ci sono tante espressioni di malavita nella nostra società, pronte a sedurli come specchietti per le allodole. E anche questo mi fa paura. Ma rispetto la loro scelta anche se la ritengo in parte assurda. 'Liberi di partire liberi di restare': sono scelte opposte che difficilmente si possono conciliare.

Lei cita il titolo dell'iniziativa lanciata dalla Cei per affrontare in modo umano il fenomeno delle migrazioni. Come valuta ora ciò che si è fatto per questo gruppo accolto al centro Mondo Migliore?
Lo dico con fierezza: non ho nulla da rimpiangere circa quanto abbiamo fatto per accoglierli e toglierli dalla nave Diciotti. La nostra coscienza su questo punto è tranquilla, e il Vangelo ci dice che in situazioni analoghe dovremmo sempre comportarci nello stesso modo. È la logica del Samaritano, che ci porta a prenderci cura, a farci carico, a interessarci, a fermarci accanto.

Cosa direbbe a questi profughi?
Avrei desiderato tanto di incontrarvi, di capire i vostri problemi, di aiutarvi a risolverli. Ma mi sembra che in questo momento l'allontanamento non sia per voi la soluzione migliore.

C'è già chi dice: erano affidati alla responsabilità della Chiesa italiana, si doveva sorvegliare meglio...
Sono persone libere, non possiamo andare oltre certi tipi di assistenza. Non possiamo chiamare i carabinieri in modo da farli vigilare perché non scappino. Se facessimo così, li metteremmo nelle stesse condizioni di quand'erano chiusi nella nave...

Che idea si è fatto dei motivi che li possono aver spinti a lasciare il centro?
Non sono venuti per restare in Italia, lo sappiamo bene. Desiderano raggiungere i loro parenti, mete diverse, oppure seguire altri sogni. In questo momento la loro scelta di allontanarsi la ritengo un'imprudenza, ma devo anche capire che se lo hanno fatto avevano dei motivi, non è certo perché li abbiamo angariati o trattati male. Non sono scappati perché erano trattati male: erano denutriti e gli hanno dato da mangiare, sfiniti e hanno trovato un letto, i volontari li hanno rivestiti, i medici li hanno visitati e curati. E appena sono stati un pochino meglio, si sono riaccesi in loro quei desideri che li avevano spinti a fuggire dalla loro terra.

C'è qualcosa che questo episodio può insegnare all'accoglienza da parte di strutture ecclesiali?
Quando arrivano, e dopo una prima assistenza rapida, dovremmo essere in grado di accoglierli subito nelle case, presso famiglie, in strutture diocesane adatte, com'è stato fatto per tanti. Perché allora vivono meglio la libertà. Vanno accelerati i tempi per l'accoglienza vera, dopo quella provvisoria dei primi giorni.

E a chi già torna a criticare lo stile con cui la Chiesa accoglie cosa sente di dire?
Senza polemizzare con nessuno, che abbiamo fatto un'accoglienza umana, fraterna. Sono andati i volontari, hanno parlato con loro, abbiamo saputo tante cose delle loro storie. Non sono stati messi in un lager, al contrario, gli abbiamo fatto sentire che la Chiesa è una famiglia. Questo non ha impedito le loro libere scelte, anzi. Si sono sentiti trattati come esseri umani dopo chissà quanto tempo, hanno ripreso coscienza della propria dignità, e sono rinati in loro quei motivi che li avevano spinti a viaggiare. In loro brucia il desiderio di andare dove vanno i loro sogni.

Da Avvenire, 6.9.18

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