Intervista al card. Bassetti: «Scelta imprudente. Ma sono persone
libere»
Qual
è stata la sua prima reazione?
Le
dico la verità: appena sentita la notizia, per prima cosa sono
passato in cappella per parlare con il Signore. Quando umanamente
siamo impotenti di fronte a tante situazioni umane, c'è sempre la
forza della preghiera che ci sostiene. Come diceva La Pira, la
preghiera è più potente di una bomba atomica. E io ne sono
convinto.
Che
giudizio dà di quello che è successo?
Sono
profondamente dispiaciuto per l'allontanamento di alcuni profughi
da Rocca di Papa. So con quanto amore e premura erano stati accolti
dalla Caritas, ci siamo veramente sentiti di fare per loro tutto ciò
che facciamo per i nostri poveri. E ora temo per la loro sorte: ci
sono tante espressioni di malavita nella nostra società, pronte a
sedurli come specchietti per le allodole. E anche questo mi fa paura.
Ma rispetto la loro scelta anche se la ritengo in parte assurda.
'Liberi di partire liberi di restare': sono scelte opposte che
difficilmente si possono conciliare.
Lei
cita il titolo dell'iniziativa lanciata dalla Cei per affrontare in
modo umano il fenomeno delle migrazioni. Come valuta ora ciò che si
è fatto per questo gruppo accolto al centro Mondo Migliore?
Lo
dico con fierezza: non ho nulla da rimpiangere circa quanto abbiamo
fatto per accoglierli e toglierli dalla nave Diciotti. La nostra
coscienza su questo punto è tranquilla, e il Vangelo ci dice che in
situazioni analoghe dovremmo sempre comportarci nello stesso modo. È
la logica del Samaritano, che ci porta a prenderci cura, a farci
carico, a interessarci, a fermarci accanto.
Cosa
direbbe a questi profughi?
Avrei
desiderato tanto di incontrarvi, di capire i vostri problemi, di
aiutarvi a risolverli. Ma mi sembra che in questo momento
l'allontanamento non sia per voi la soluzione migliore.
C'è
già chi dice: erano affidati alla responsabilità della Chiesa
italiana, si doveva sorvegliare meglio...
Sono persone libere, non possiamo andare oltre certi tipi di
assistenza. Non possiamo chiamare i carabinieri in modo da farli
vigilare perché non scappino. Se facessimo così, li metteremmo
nelle stesse condizioni di quand'erano chiusi nella nave...
Che
idea si è fatto dei motivi che li possono aver spinti a lasciare il
centro?
Non
sono venuti per restare in Italia, lo sappiamo bene. Desiderano
raggiungere i loro parenti, mete diverse, oppure seguire altri sogni.
In questo momento la loro scelta di allontanarsi la ritengo
un'imprudenza, ma devo anche capire che se lo hanno fatto avevano
dei motivi, non è certo perché li abbiamo angariati o trattati
male. Non sono scappati perché erano trattati male: erano denutriti
e gli hanno dato da mangiare, sfiniti e hanno trovato un letto, i
volontari li hanno rivestiti, i medici li hanno visitati e curati. E
appena sono stati un pochino meglio, si sono riaccesi in loro quei
desideri che li avevano spinti a fuggire dalla loro terra.
C'è
qualcosa che questo episodio può insegnare all'accoglienza da
parte di strutture ecclesiali?
Quando
arrivano, e dopo una prima assistenza rapida, dovremmo essere in
grado di accoglierli subito nelle case, presso famiglie, in strutture
diocesane adatte, com'è stato fatto per tanti. Perché allora
vivono meglio la libertà. Vanno accelerati i tempi per l'accoglienza
vera, dopo quella provvisoria dei primi giorni.
E
a chi già torna a criticare lo stile con cui la Chiesa
accoglie
cosa sente di dire?
Senza
polemizzare con nessuno, che abbiamo fatto un'accoglienza umana,
fraterna. Sono andati i volontari, hanno parlato con loro, abbiamo
saputo tante cose delle loro storie. Non sono stati messi in un
lager, al contrario, gli abbiamo fatto sentire che la Chiesa è una
famiglia. Questo non ha impedito le loro libere scelte, anzi. Si sono
sentiti trattati come esseri umani dopo chissà quanto tempo, hanno
ripreso coscienza della propria dignità, e sono rinati in loro quei
motivi che li avevano spinti a viaggiare. In loro brucia il desiderio
di andare dove vanno i loro sogni.
Da
Avvenire, 6.9.18
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