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Dal Vangelo di Domenica 17 Febbraio PDF Stampa
15-02-2019
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». (Lc 6,17.20-26)

Il Vangelo ci invita a riconoscere la verità del nostro cuore, per vedere dove riponiamo la sicurezza della nostra vita. Normalmente il ricco si sente sicuro con le sue ricchezze, e pensa che quando esse sono in pericolo, tutto il senso della sua vita sulla terra si sgretola. Gesù stesso ce l’ha detto nella parabola del ricco stolto, parlando di quell’uomo sicuro di sé che, come uno sciocco, non pensava che poteva morire quello stesso giorno.
Le ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di sé stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita. Così si priva dei beni più grandi. Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito, che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante novità.
Questa povertà di spirito è molto legata con quella “santa indifferenza” che proponeva sant’Ignazio di Loyola, nella quale raggiungiamo una bella libertà interiore: «Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito), in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga piuttosto che quella breve, e così in tutto il resto».
Luca non parla di una povertà “di spirito” ma di essere «poveri» e basta, e così ci invita anche a un’esistenza austera e spoglia. In questo modo, ci chiama a condividere la vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva a conformarci a Gesù, che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9). Essere poveri nel cuore, questo è santità. 
(papa Francesco, Gaudete et Exultate 67-70

La prima tappa della tua Pasqua di povertà, passa dall’umile accettazione delle tue ricchezze. Qualunque cosa tu faccia e dica, eccoti ricco della tua fede, della tua cultura, della tua salute, della tua libertà. Non te ne fare una colpa, ma non dimenticarlo mai. Per contraccambiare vivi in una continua azione di grazie, vivi nell’umiltà… Sii disponibile e riconoscente”. 
(Dal Libro di Vita delle Fraternità di Gerusalemme)

Da questa beatitudine deriva un impegno concreto, rispetto a cui, tuttavia, non si improvvisa: quello che occorre fare è esercitarsi a dire: Mi basta quello che ho. Perché il cuore dell’uomo è insaziabile e i beni materiali sembrano non bastare mai, e allora si tende ad accumulare, senza aver mai pace. Uno passa tutta la vita ad inseguire la ricchezza, che è inganno, e dimentica tutto il resto, dimentica la vita, l’amore, la felicità, calpesta gli altri.
L’inganno della ricchezza ingenera quel sentimento che non fa mai bastare ciò che si possiede e anch’io devo combattere per convincermi che non ho bisogno di altro, che mi basta quello che ho. Invece è importante che uno si fermi e dica a se stesso: io lascio ai miei figli le mie parole, i miei sentimenti, le emozioni vissute assieme, il ricordo delle conversazioni, il nome di Gesù…
I nostri figli respirano nell'aria e prendono dalla pubblicità televisiva un senso precoce del denaro e del guadagno facile: è necessario un corpo a corpo quotidiano, lungo la loro crescita, per contrastare questa educazione ambientale alla cupidigia…”
L.Accattoli

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