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Dal Vangelo di Domenica 24 Novembre PDF Stampa
22-11-2019
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». (Lc 23,35-43)

Il Vangelo presenta la regalità di Gesù al culmine della sua opera di salvezza, e lo fa in un modo sorprendente. «Il Cristo di Dio, l’eletto, il Re» appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore. La sua regalità è paradossale: il suo trono è la croce; la sua corona è di spine; non ha uno scettro, ma gli viene posta una canna in mano; non porta abiti sontuosi, ma è privato della tunica; non ha anelli luccicanti alle dita, ma le mani trafitte dai chiodi; non possiede un tesoro, ma viene venduto per trenta monete.
Sarebbe però poca cosa credere che Gesù è Re dell’universo e centro della storia, senza farlo diventare Signore della nostra vita: tutto ciò è vano se non lo accogliamo personalmente e se non accogliamo anche il suo modo di regnare. Ci aiutano in questo i personaggi che il Vangelo odierno presenta. Oltre a Gesù, compaiono tre figure: il popolo che guarda, il gruppo che sta nei pressi della croce e un malfattore crocifisso accanto a Gesù. 
Anzitutto, il popolo: il Vangelo dice che «stava a vedere»: nessuno dice una parola, nessuno si avvicina. Il popolo sta lontano, a guardare che cosa succede. È lo stesso popolo che per le proprie necessità si accalcava attorno a Gesù, ed ora tiene le distanze. Di fronte alle circostanze della vita o alle nostre attese non realizzate, anche noi possiamo avere la tentazione di prendere le distanze dalla regalità di Gesù, di non accettare fino in fondo lo scandalo del suo amore umile, che inquieta il nostro io, che scomoda. Si preferisce rimanere alla finestra, stare a parte, piuttosto che avvicinarsi e farsi prossimi. Ma il popolo santo, che ha Gesù come Re, è chiamato a seguire la sua via di amore concreto; a domandarsi, ciascuno ogni giorno: “che cosa mi chiede l’amore, dove mi spinge? Che risposta do a Gesù con la mia vita?”
C’è un secondo gruppo, che comprende diversi personaggi: i capi del popolo, i soldati e un malfattore. Tutti costoro deridono Gesù. Gli rivolgono la stessa provocazione: «Salvi se stesso!» È una tentazione peggiore di quella del popolo. Qui tentano Gesù, come fece il diavolo agli inizi del Vangelo, perché rinunci a regnare alla maniera di Dio, ma lo faccia secondo la logica del mondo: scenda dalla croce e sconfigga i nemici! Se è Dio, dimostri potenza e superiorità! Questa tentazione è un attacco diretto all’amore: «salva te stesso»; non gli altri, ma te stesso. Prevalga l’io con la sua forza, con la sua gloria, con il suo successo. È la tentazione più terribile, la prima e l’ultima del Vangelo. Ma di fronte a questo attacco al proprio modo di essere, Gesù non parla, non reagisce. Non si difende, non prova a convincere, non fa un’apologetica della sua regalità. Continua piuttosto ad amare, perdona, vive il momento della prova secondo la volontà del Padre, certo che l’amore porterà frutto.
Nel Vangelo compare un altro personaggio, più vicino a Gesù, il malfattore che lo prega dicendo: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Questa persona, semplicemente guardando Gesù, ha creduto nel suo regno. E non si è chiuso in se stesso, ma con i suoi sbagli, i suoi peccati e i suoi guai si è rivolto a Gesù. Ha chiesto di esser ricordato e ha provato la misericordia di Dio: «oggi con me sarai nel paradiso». Dio, appena gliene diamo la possibilità, si ricorda di noi. Egli è pronto a cancellare completamente e per sempre il peccato, perché la sua memoria non registra il male fatto e non tiene sempre conto dei torti subiti, come la nostra. Dio non ha memoria del peccato, ma di noi, di ciascuno di noi, suoi figli amati. E crede che è sempre possibile ricominciare, rialzarsi. 
Chiediamo anche noi il dono di questa memoria aperta e viva. Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porte della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze, aprendo ogni possibile via di speranza. 
Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza.
(papa Francesco, omelia a conclusione dell’Anno della Misericordia)
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