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Anziani, malati, immunodepressi, con importanti patologie PDF Stampa
14-03-2020
la solitudine ci salverà?

Sì, lo sappiamo: anziani, immunodepressi, con importanti patologie, i primi saremo noi! Sia che siamo ancora persone attive, impegnati coi nipoti o nel volontariato, sia che siamo non più autonomi, ma ancora vivi, con un nome, un volto, una storia, degli affetti, siamo tutti una grande famiglia: le nostre fragilità, più o meno evidenti, ci mettono a rischio e il sentirlo ripetere ci mette in crisi. Il primo sentimento, quando lo sentiamo ripetere, è spesso liberatorio: i nostri figli, i nostri nipoti ce la faranno! Non c'è angoscia più grande per un genitore, per un nonno del pensiero di dover piangere un figlio, un nipote. Poi subentra la paura, l'angoscia perché il pensiero della propria morte fa paura. Lo sappiamo che siamo fragili, lo sentiamo sulla nostra pelle, tra disturbi, farmaci, visite, esami, lo viviamo costretti a salutare spesso i compagni di una vita e sempre più frequentemente tanti amici, ma il sentircelo ripetere non ci aiuta.
Ma queste notizie, che ci turbano, non parlano solo a noi e, oltre a tranquillizzare esageratamente chi è sano o pensa di esserlo, diffondono un messaggio sul valore della vita, dicono che la vita anziana, malata non vale molto, che la morte di un anziano è in fin dei conti un fatto “banale”. Così capita anche di leggere su facebook: ma che problema c'è, avremo meno pensioni da pagare! E ti prende il dubbio che questo sia il pensiero di molti.  “Pensate ai vostri nonni”, diceva ieri sera il prof. Brusaferro, invitando i giovani a seguire le indicazioni date. Ma quanti hanno un rapporto coi nonni, soprattutto se malati, fragili, quanto si insegna ai ragazzi, ai giovani a visitare gli anziani, a valorizzarli? Quanto pesa l'idea che anziani, malati succhiano tante risorse a spese delle giovani generazioni? Questa epidemia ci farà diventare migliori o più egoisti, servirà ad unire le generazioni o a dividerle ancora di più?
Credo che dipenda molto da noi, da come oggi riusciamo ad essere vicini agli anziani che stanno vivendo questo momento di angoscia nello smarrimento e nella solitudine.
“Se non si incontrano, non si vedono, se non pregano insieme, dove troveranno la speranza i nostri anziani?” è la domanda che ha posto in questi giorni il prof. Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione di Psicogeriatria. Come dare speranza a chi vive questo momento nell'angoscia, nell'isolamento? Cosa stiamo facendo come comunità ecclesiale in questo momento in cui la vita delle nostre parrocchie è quasi ferma e quindi c'è più tempo libero? Vorrei vedere una Chiesa più in movimento nella ricerca di ciò, che, pur seguendo le direttive, non lascia solo nessuno.  Nei social sono presenti molti messaggi, preghiere, Rosari, ma quanti anziani, soprattutto quelli più avanti negli anni, non hanno questi strumenti! Poi l'invito alla preghiera non basta. E' difficile pregare, quando ti prende l'angoscia e non hai nessuno con cui condividerla. Non tutti poi hanno la fede.  Come li stiamo raggiungendo? Tramite visite (se si è sani e se ti accettano), telefonate, se conosciamo il numero, avvisi nelle buchette della posta con nomi, numeri telefonici a cui rivolgersi se hanno bisogno... Sarebbe bello condividere ciò che la “fantasia della carità” ci suggerisce.
Pierluigi, il nostro presidente, nell'Assemblea diocesana ha detto che i presidenti parrocchiali dovrebbero sapere che colore hanno gli occhi dei propri soci. Io ho sorriso, perché non ho molta memoria visiva e non so certo quale è il colore degli occhi degli anziani dei miei gruppi, ma in compenso conosco quasi tutti gli acciacchi che hanno. Adesso non è tempo per conoscere il colore degli occhi dei soci anziani, ma di conoscere almeno il timbro delle voci: tutti hanno il telefono!   
La solitudine non ci salverà, ci renderà più tristi, più angosciati, e quindi più fragili. Abbiamo bisogno di speranza, speranza possibile se sperimentiamo che facciamo parte di una famiglia, di una comunità, di un'associazione, abbiamo bisogno di sentire che non siamo soli, di sentire la presenza di Dio anche attraverso la presenza dei fratelli. 
                                                                                   
 Gabriella Reggi, da Il Piccolo
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