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Le donne e la guerra PDF Stampa
08-03-2022
Attorno ai tavoli di guerra russi e ucraini non ci sono donne. Sono tutti uomini i delegati che in questi giorni tentano di negoziare una difficile tregua tra Russia e Ucraina. Sono presenti solo uomini anche nei consigli di guerra che si svolgono a Mosca: generali con le mostrine, dirigenti dei servizi segreti in completo scuro, consiglieri di strategia politica. Non ci sono donne laddove si decide di guerra, di bombardamenti, di confini, di misure d’emergenza.
Eppure in questo conflitto anacronistico nei tempi e antico nei modi ci sono straordinari volti e storie di donne, nell’uno e nell’altro fronte, che combattono l’oltraggio definitivo della guerra a mani nude, solo con la forza dell’amore e della vita.
La madre russa che dialoga straziata al cellulare con il figlio, soldato ragazzino mandato al fronte senza un perché e fatto prigioniero dagli ucraini. O quell’altra, che leggerà per sempre nella conversazione di WhatsApp le ultime parole del figlio morto: «Mamma, sono in Ucraina. Questa è una vera guerra, è così dura» e maledirà chi lo ha sottratto al suo abbraccio. Nina, che incinta al nono mese è scappata da Kiev sotto le bombe e, dopo due giorni di viaggio, a Como ha messo al mondo Maria. Elena, lavoratrice ucraina in Sicilia, che al primo ruggito di guerra è rientrata in patria per portare in salvo la figlia maggiore, in un viaggio rocambolesco durato lunghi giorni. Tania, che aspetta impotente e rassegnata le bombe nel suo appartamento di Kiev perché è impensabile portare in un bunker sotterraneo il figlio Lev, affetto da Sindrome di Down. Le infermiere dell’ospedale pediatrico Okhmadet di Kiev, che nei sotterranei continuano a infondere cure e speranza ai bambini malati di cancro. C’è un gruppo di badanti che si ritrovano per pregare e condividere il legame con le proprie radici. Tra le mani il rosario e dei fili intrecciati con i colori della bandiera Ucraina. Sono arrivate in Italia nei primi anni Duemila, per trovare un impiego che le permettesse di guadagnare abbastanza denaro da mantenersi e da mandare ai cari rimasti a casa. Questo è il loro modo per farsi forza e condividere il legame con le proprie radici. La giovane con tre bambini, che saluta con le lacrime agli occhi il marito: loro salgono sul treno verso la Polonia, lui va a combattere, e chissà se e quando si rivedranno. E poi le colonne di madri sfollate dalle città ucraine e rifugiate nei Paesi confinanti, mentre gli uomini vengono impegnati nella resistenza all’invasore.
E poi ancora, altre storie. Certo, ci sono donne tra i combattenti ucraini e tra quelli russi, e abbiamo visto donne e bambine preparare bombe molotov nelle città minacciate per fronteggiare i cannoni nemici, rudimentale contributo alla difesa della patria.
Nei primi dieci giorni di guerra abbiamo conosciuto innumerevoli esempi di quell’energia vitale femminile che è l’antitesi dell’energia distruttiva di chi vuole combattere e uccidere e fare prigionieri. E che insegue ancora e sempre la vita, rifuggendo la logica disumana della violenza.

da Avvenire 5 marzo 2022
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