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Dal Vangelo di Domenica 24 Aprile PDF Stampa
25-04-2022
2^ Domenica di Pasqua

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 21,24-29).

L’Apostolo Tommaso rappresenta tutti noi, che non eravamo presenti nel cenacolo quando il Signore è apparso e non abbiamo avuto altri segni fisici o apparizioni da parte di Lui. Anche noi, come quel discepolo, a volte facciamo fatica: come si fa a credere che Gesù è risorto, che ci accompagna ed è il Signore della nostra vita senza averlo visto, senza averlo toccato? Come si fa, a credere questo? Perché il Signore non ci dà qualche segno più evidente della sua presenza e del suo amore? Qualche segno che io possa vedere meglio… Ecco, anche noi siamo come Tommaso, con gli stessi dubbi, gli stessi ragionamenti.
Ma non dobbiamo vergognarci di questo. Raccontandoci la storia di Tommaso, infatti, il Vangelo ci dice che il Signore non cerca cristiani perfetti. Io vi dico: ho paura quando vedo qualche cristiano, qualche associazione di cristiani che si credono i perfetti. Il Signore non cerca cristiani perfetti; il Signore non cerca cristiani che non dubitano mai e ostentano sempre una fede sicura. Quando un cristiano è così, c’è qualcosa che non va. No, l’avventura della fede, come per Tommaso, è fatta di luci e di ombre. Se no, che fede sarebbe? Essa conosce tempi di consolazione, di slancio e di entusiasmo, ma anche stanchezze, smarrimenti, dubbi e oscurità. Il Vangelo ci mostra la “crisi” di Tommaso per dirci che non dobbiamo temere le crisi della vita e della fede. Le crisi non sono peccato, sono cammino, non dobbiamo temerle. Tante volte ci rendono umili, perché ci spogliano dall’idea di essere a posto, di essere migliori degli altri. Le crisi ci aiutano a riconoscerci bisognosi: ravvivano il bisogno di Dio e ci permettono così di tornare al Signore, di toccare le sue piaghe, di fare nuovamente esperienza del suo amore, come la prima volta. Cari fratelli e sorelle, è meglio una fede imperfetta ma umile, che sempre ritorna a Gesù, di una fede forte ma presuntuosa, che rende orgogliosi e arroganti. Guai a questi, guai!
E davanti all’assenza e al cammino di Tommaso, che è spesso anche il nostro, qual è l’atteggiamento di Gesù? Il Vangelo per due volte dice che Egli «venne». Una prima volta, poi una seconda volta, otto giorni dopo. Gesù non si arrende, non si stanca di noi, non si spaventa delle nostre crisi, delle nostre debolezze. Egli ritorna sempre: quando le porte sono chiuse, torna; quando dubitiamo, torna; quando, come Tommaso, abbiamo bisogno di incontrarlo e di toccarlo più da vicino, torna. Gesù torna sempre, bussa alla porta sempre, e non torna con segni potenti che ci farebbero sentire piccoli e inadeguati, anche vergognosi, ma con le sue piaghe; torna mostrandoci le sue piaghe, segni del suo amore che ha sposato le nostre fragilità.
Fratelli e sorelle, specialmente quando sperimentiamo stanchezze o momenti di crisi, Gesù, il Risorto, desidera tornare per stare con noi. Aspetta solo che lo cerchiamo, lo invochiamo, persino che, come Tommaso, protestiamo, portandogli i nostri bisogni e la nostra incredulità. Egli torna sempre. Perché? Perché è paziente e misericordioso. Viene ad aprire i cenacoli delle nostre paure, delle nostre incredulità, perché sempre ci vuol dare un’altra opportunità. Gesù è il Signore delle “altre opportunità”: sempre ce ne dà un’altra, sempre. Pensiamo allora all’ultima volta – facciamo un po’ di memoria – in cui, durante un momento difficile, o un periodo di crisi, ci siamo chiusi in noi stessi, barricandoci nei nostri problemi e lasciando Gesù fuori casa. E ripromettiamoci, la prossima volta, nella fatica, di ricercare Gesù, di tornare a Lui, al suo perdono – Lui sempre perdona, sempre! –, tornare a quelle piaghe che ci hanno risanato. Così, diventeremo anche capaci di compassione, di avvicinare senza rigidità e senza pregiudizi le piaghe degli altri.
(Papa Francesco, Angelus).
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