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Modena 29 maggio. Don Luigi Lenzini beato, martire dell'odio politico PDF Stampa
30-05-2022
Sacerdote e martire, della fede e della verità.
Don Luigi Lenzini, ucciso in odium fidei il 21 luglio 1945 a Crocette di Pavullo,
sull’Appennino modenese, è stato proclamato beato.

Don Lenzini fu vittima del clima che si respirava al termine della seconda guerra mondiale ucciso con la “colpa” di additare il Vangelo come unica regola di vita e per il suo ascendente sulla popolazione, in montagna più vicina alla Chiesa e dunque in contrasto con il progetto anticlericale e antireligioso perseguito dai comunisti.
Eppure don Lenzini, nel suo ministero, «si era sempre contraddistinto per la sua vicinanza a tutti e, durante la il conflitto, si era prodigato per aiutare le persone in difficoltà, senza distinzioni di credo religioso o di fede politica, compresi alcuni giovani partigiani della parrocchia tra i quali uno dei suoi futuri assassini», dice la postulatrice. «Il desiderio di avviare la causa per il riconoscimento del suo martirio, perché tale fu subito considerata la sua feroce uccisione nella notte del 21 luglio 1945, sorse immediatamente vivo nella Chiesa locale.  Solo col passare del tempo, quando le passioni e le divergenze ereditate dalle tristi e cruente vicende della guerra civile si andarono componendo e le persone ritenute colpevoli o implicate nell’omicidio scomparvero, si rese la ricostruzione dei fatti sempre più libera da timori, sospetti, parzialità. Per questa ragione non si era parlato pubblicamente della morte di don Lenzini per molti anni, mantenendone viva la memoria con momenti di preghiera e raccolta di materiale a lui relativo in attesa di tempi più propizi.

Il ricordo dell'arcivescovo Verrucchi
«All’epoca del martirio di don Luigi Lenzini avevo 8 anni; con la famiglia abitavo a Miceno, vicino a Crocette, ed eravamo mezzadri del parroco. Mio padre e i miei fratelli, varie volte, hanno accompagnato don Lenzini con il calesse da una parrocchia all’altra». Giuseppe Verucchi, 84enne arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia, originario dei luoghi in cui don Lenzini esercitò il ministero fino all’uccisione, racconta quanto che lo lega alla figura del sacerdote martire. Con una premessa: «Per comprendere meglio gli ultimi suoi giorni, è fondamentale conoscere la situazione storica di quel momento, specialmente nella nostra montagna. Si respirava un clima di odio, rancore, vendette, scontri fra ideologie diverse, giustizia “fai da te”. Ho ancora negli occhi alcuni corpi impiccati a un albero a casa mia. E in paese si parlava degli alberi ai quali sarebbero stati appesi i miei famigliari, perché “amici del prete”».
Verucchi sottolinea quale fosse il ruolo dei sacerdoti come don Lenzini: «Erano animati dall’amore per il Signore. E vivevano una forte dedizione alla gente. Erano “padri” nel senso più pieno della parola. Ma il clima attorno a loro, spesso, era ostile. Specialmente in Emilia Romagna e nel cosiddetto “triangolo della morte”: Modena, Reggio Emilia e Bologna. Nel nostro Appennino il 13 aprile 1945 fu ucciso il beato Rolando Rivi; poi, a guerra conclusa, il 23 maggio don Giuseppe Preci e il 21 luglio don Luigi Lenzini».
A Crocette, in questo ambiante acceso, don Lenzini viveva il suo ministero. «Sempre in mezzo al popolo – dice Verucchi –, tra parrocchia, case, visite agli ammalati, attenzione alla vita delle persone, osteria, partite a carte, un bicchiere di vino in compagnia. Sentiva profondamente le difficoltà del momento ed era preoccupato per le scelte dei suoi parrocchiani. Temeva le conseguenze della guerra, respirava gli odi; voleva aiutare i suoi fedeli a restare saldi nella fede, a non cedere a ideologie atee, materialiste, totalitarie, ed essere gelosi della libertà. Parlava chiaro e forte. A Messa diceva: “Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere lo debbo fare anche a costo della vita!”. Fu prete fino in fondo, testimone e martire. Esempio e dono per tutti».                       
(da Avvenire)
Don Luigi Lenzini, ucciso il 21 luglio 1945,
nel quadro del professor Pietro Lenzini nella chiesa di Fiumalbo
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