Dopo il Discorso della montagna (5-7) e la catena dei
dieci miracoli che lo segue (8-9), eccoci ora all’inizio del Discorso
missionario. Gesù ha annunciato il vangelo del regno col suo insegnamento e le
sue azioni. Ora comincia a coinvolgere i suoi, li istruisce sulla missione, da
discepoli li rende apostoli.
Apostoli con il suo sguardo, capaci di accorgersi dei pesi
e delle stanchezze delle persone; apostoli con la sua viscerale compassione,
con i sentimenti del buon pastore; con la sua capacità di farsi carico delle
infermità e malattie; con le sue parole e i suoi gesti, capaci di curare, di
liberare, di ridare speranza, di infondere forza.
Apostoli che pregano prima di andare, perché la missione
viene da Dio.
Apostoli in 12, come le tribù di Israele, segno di un Dio
che vuole riunire il suo popolo, di un Pastore che vuole riunire le sue pecore
disperse.
Apostoli assieme, in una squadra che nessun allenatore
avrebbe mai convocato, ad annunciare la misericordia del Padre, a scacciare il
demone della divisione, a guarire dalla malattia dell’esclusione.
Apostoli che un giorno saranno mandati ai lontani, ma
prima devono imparare a guardare ai perduti vicino.
Il manifesto missionario di Matteo è anche il nostro:
anche noi chiamati e mandati nello stesso tempo, a condividere quel vangelo che
gratuitamente abbiamo ricevuto. Perché tanti nostri fratelli, lontani ma anche
molto vicini a noi, feriti e appesantiti dalla vita, possano accorgersi che Dio
è vicino.
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