24-07-2008 |
"Paolo, apostolo di Gesù Cristo" (1 Tim 1,1)
Saulo di Tarso, dal nome che richiama il grande re Saul e giovane avviato ad una brillante carriera nel mondo dei farisei, dopo la sua adesione al cristianesimo sceglie di cambiare il proprio nome in "paulus", cioè "piccolo". Egli si ritiene l'ultimo degli apostoli, non solo in termini temporali, ma anche morali e spirituali. Egli è l'ultimo tra gli "inviati", scelto dalla comunità di Antiochia, nel segno dello Spirito, a continuare l'azione ufficiale della Chiesa in nome di Cristo. Egli però sa di essere stato, un tempo, un cattivo esempio e si ritiene ultimo in senso morale, cioè "non perfetto". "Paulus" indica infine la volontà di aderire con la propria vita a quel Gesù che è stato umile di cuore. Siamo anche noi degli umili inviati. Ricordiamo papa Benedetto XVI nel giorno della sua elezione: "sono l'umile operaio della vigna del Signore". Tu ti senti inviato? Sei partito nel segno dell' umiltà?
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LA PAROLA AI GIOVANI
I giovani sono Stefano, Camillo, Maddalena, Gianni, Monica, Antonio...
Troppe volte si sente parlare di "questa gioventù" bruciata nei miti di un mondo migliore, compromessa in circoli viziosi, venduta al consumismo, abbandonata alla perdizione.
Sì certo, non possiamo negare l'evidenza, ma questo è solo un'apparenza. Perché, mi chiedo, i giornali riportano solo i dati agghiaccianti dei morti del sabato sera, le statistiche dei morti per overdose? Si dimenticano forse che esistono ragazzi come Stefano e Camillo, che spendono le loro domeniche in un ricovero per anziani, come Maddalena e Gianni che. assistono i disabili, come Monica, Antonio, Nicoletta, e Gioia che si occupano di un centro per handicappati? Non sono forse anche questi i nostri ragazzi?
E perché scordarci di Lucia, che a diciassette anni anima con entusiasmo indicibile un gruppo missionario nel suo oratorio, o Francesco e Pierluigi che hanno deciso insieme, dopo un campo scuola estivo, di voler entrare in prenoviziato.
Non sono forse anche questi i ragazzi d'oggi?
Basterebbe girarsi un po' intorno e vedere quanti ragazzi fanno della loro vita un dono per molti! E non sono degli eroi!!! Non sarebbe giusto porli su di un piedistallo... né tanto meno loro vorrebbero essere posti!
Tante se ne dicono e tante se ne diranno su questi ragazzi... Ma mai nessuno si prenderà la briga di trasmettere in tv, come lo è stato per gli "omicidi del cavalcavia", almeno uno dei tanti atti d'amore che molti ragazzi... troppe volte non considerati, compiono giorno dopo giorno. E ora ditemi voi: non è stupendo tutto questo? E se si chiede il perché del loro operare, schiettamente rispondono che non si può non aiutare chi è in difficoltà... perché Uno con la "U" maiuscola prima di noi ci hai amati... e ancora continua a farlo.
(oppure)
Un Natale di due anni fa. Avevo celebrato solennemente la santa notte e il mattino con un pontificale. Ero pieno di gioia natalizia ed avevo programmato un pomeriggio di quiete, da solo, immaginando di prolungare il mio "stare nella grotta di Betlemme" in contemplazione. Venne un mio parroco a raccontarmi di una famiglia particolarmente disagiata: sarebbe stato un vero dono natalizio visitarla.
Una famiglia di sei persone. Un padre disoccupato e alcolizzato; quattro bambini che non conoscevano neppure la compagnia degli altri e che comparivano e scomparivano assieme come topi incuriositi e impauriti. Avevo portato con me tanti cioccolatini. Ne davo a manciate ogni volta che apparivano.
L'abitazione sudava povertà appena smorzata dalle cure che alcuni volontari ponevano, non riuscendo a nascondere le profonde piaghe che trapassavano per ogni dove.
E infine su un letto, pulito, la mamma. Poteva avere quarant'anni, ma aveva il petto squarciato da un tumore che la rendeva mostruosa agli occhi di tutti. Mi accolse come la venuta del bambino Gesù. Non ebbe vergogna di mettere a nudo il suo dolore: e per me era atroce resistere a quella vista. Non mi disse tante cose, perché le avevo già dentro di me.
Sedetti sulla sponda del letto, come per condividere il dolore. Mi colpiva la serenità di quella donna, povera veramente di tutto. Non aveva maledizioni per alcuno, Nella vita non aveva neppure avuto modo di essere troppo vicina alla Chiesa come struttura. La loro condizione li costringeva a stare "fuori dalle mura delle nostre città".
A un certo punto mi strinse le braccia al collo e mi disse: «Grazie per essere venuto nella mia casa! Ma prima di morire vorrei che lei venisse qui a far nascere Gesù in questa povera casa, vicino a me che nessun ospedale vuole più accogliere per il ribrezzo che faccio. E Gesù che veramente viene qui vorrei vederlo nell'assistere alla sua Messa. Sarà come sentirmi dire che Gesù ama anche me, i miei figli, mio marito, questa mia casa. Ma è già Natale, perché lei è qui e lei è Gesù». Nel frattempo si erano accostati i bambini ormai tutti con le lacrime.
(mons. A. Riboldi