Dal Vangelo di Domenica 19 Settembre
18-09-2021
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,30-37).

Facciamo spesso a gara a “chi è il più grande”, una gara che si misura nel riconoscimento e nel possesso: più follower e più like, più magri, meglio vestiti, una vacanza a cinque stelle, il telefono nuovo, un’auto di prestigio, una casa più grande, un lavoro che farà guadagnare più soldi, un premio, l’ottenimento di una posizione di potere… Con il rischio di farci divorare dall’invidia o di essere dominati dalla frustrazione.
Basta poco, però, basta una domanda che sembra innocente (“Di che cosa stavate parlando?”), per far crollare l’impalcatura dei nostri desideri. I discepoli interrogati da Gesù “tacciono”, perché si accorgono che la strada che stava prendendo la loro discussione non era quella giusta, cioè quella che porta buoni frutti per sé e per gli altri. Allo stesso modo, anche noi, se ci fermiamo a pensare, ci rendiamo conto che la ricchezza, la gioia, la serenità, riusciamo a trovarle solo nelle relazioni. Con tutto il carico di fatica, di sofferenza, di rinunce, di cadute e di ripartenze, di “morti” e di “resurrezioni” che queste comportano.
Chiunque abbia provato l’esperienza della maternità e della paternità (in tutte le forme che queste si possono esplicare) si è reso conto che essere “grande” comporta mettersi a disposizione completa, fare spazio nella propria casa, nel proprio tempo, nelle proprie ambizioni per chi è più piccolo, per chi è ultimo. E farsi piccoli.
Ciascuno di noi, con le proprie capacità e i propri limiti, può provare la grandezza dell’esperienza dell'accogliere e del mettersi a servizio. “Accogliere” e “servire” non sono generalmente azioni associate all’essere grandi, all’essere forti, all’essere vincenti. Eppure sono una strada (l’unica strada) a disposizione di tutti per accorgersi di cosa conta veramente. Farsi ultimi è una possibilità che tutti hanno, non si può pensare di non essere adeguati o di non avere nulla da dare. Ci vuole quel pizzico di coraggio per mettersi in discussione, aprire la porta, uscire dalle proprie sicurezze e insicurezze.
In questo periodo di emergenza sanitaria ci viene richiesto un distanziamento fisico - non sociale! - e l’abbraccio, una delle manifestazioni più belle di accoglienza e vicinanza, ci è nella maggior parte dei casi precluso. Ma ci sono tante altre strade, tante altre forme per esprimere e vivere amore e sostegno, per ritrovarsi, piccoli e poveri, “abbracciati” gli uni agli altri e rendersi conto di stare abbracciando anche Dio Padre.  
Elisa e Stefano
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